Se ne stava addormentato da 30.000 anni nel permafrost della Siberia, quando un gruppo di ricercatori francesi l’ha riportato in “vita” e si è ripreso come se nulla fosse.
È il Mollivirus sibericum, il secondo virus preistorico trovato dal gruppo di ricercatori (qui la pubblicazione su Pnas). Prima della completa riattivazione gli scienziati hanno verificato con accuratezza che non potesse costituire alcun pericolo per uomini e animali del nostro tempo. Il ritorno in vita è stato possibile iniettandolo in un’ameba unicellulare, operazione condotta in un laboratorio scientifico controllato.
Gigantesco. Una particolarità di questo virus è il fatto che è di notevoli dimensioni, mezzo micron, ossia mezzo millesimo di millimetro. Stando ai ricercatori, il virus resuscitato - che non preoccupa - è comunque un monito da tenere in seria considerazione.
Perché le zone artiche, che si stanno riscaldando a una media che è circa due volte superiore a quella del resto del pianeta, porteranno allo scioglimento di molte aree di permafrost, il terreno permanentemente ghiacciato attorno al Polo Nord. «Non è da escludere che alcuni virus mortali per gli esseri viventi dei nostri giorni potrebbero, nel caso vi fossero ospiti vulnerabili, infettare vari ecosistemi con conseguenze tutte da immaginare», ha commentato Jean-Michel Claverie, responsabile della ricerca.
Ma c’è di più. Le aree in cui potrebbero esserci altri virus ibernati sono oggetto di ricerche minerarie e petrolifere, che potrebbero anch’esse portare alla luce i microorganismi e diffonderli. «Se non si procede con cautela, le conseguenze potrebbero essere drammatiche», ha sottolineato Cleverie.
Ci sono almeno 500 generi di virus simili a quello portato alla luce, mentre un altro virus preistorico scoperto nel 2003 ne ha addirittura 2.500: per chiarire, il virus dell’influenza A ha solamente otto generi. Questo deve fare riflettere su quanti virus preistorici potrebbero essere pericolosi, e senza che oggi si sappia nulla su come combatterli.