L'immunità al coronavirus SARS-CoV-2 potrebbe durare almeno un anno o forse più a lungo, specialmente nelle persone guarite dall'infezione che sono state in seguito vaccinate. Due nuovi studi ripresi dal New York Times fanno sperare che i timori circa una protezione limitata nel tempo, simile a quella che si sviluppa contro i coronavirus stagionali, possano rivelarsi infondati, e che chi dopo aver contratto la covid è stato anche vaccinato, possa in futuro non aver bisogno di richiami.
Entrambi i lavori si concentrano non sugli anticorpi ma su una componente un po' meno nota del sistema immunitario: le cellule B della memoria, che trattengono un ricordo del patogeno e possono secernere anticorpi in caso di necessità.
Protezione diversa nei vaccinati. Le cellule B della memoria prodotte in risposta alla CoViD-19 e poi potenziate dai vaccini risultano così attive e persistenti da neutralizzare facilmente anche le varianti del virus, rendendo la necessità di un vaccino di richiamo superflua. Un discorso, quello di una protezione così estesa e duratura, che potrebbe non valere per chi non ha contratto l'infezione ma è stato invece vaccinato: poiché la risposta immunitaria organizzata verso la sola proteina Spike, senza il virus vero e proprio, è un po' diversa da quella messa in campo dall'organismo nel corso dell'infezione, chi fin qui è riuscito a non contrarre la covid potrebbe aver bisogno di richiami vaccinali periodici. Anche una minoranza di persone che hanno avuto la covid ma non hanno sviluppato una risposta immunitaria efficace potrebbe aver bisogno di futuri richiami.
Sentinelle attente. Quando un virus attacca, le cellule B rispondono producendo grandi quantità di anticorpi. Passata la fase acuta dell'infezione, una piccola quantità di esse si sistema nel midollo osseo, da dove continua a generare moderate quantità di anticorpi. Nel loro studio pubblicato su Nature, gli scienziati della Washington University di St. Louis hanno analizzato il sangue di 77 persone contagiate da covid a intervalli di tre mesi a partire da un mese dall'infezione. Come prevedibile, i livelli di anticorpi sono calati notevolmente dopo quattro mesi, perché al corpo non servivano più. Altri studi in passato hanno interpretato questo segnale come una prova di una riduzione dell'immunità, ma tralasciavano un dettaglio fondamentale.
A sette mesi dall'infezione, le analisi su 19 guariti hanno confermato la presenza di cellule B della memoria addestrate contro il SARS-CoV-2 nel midollo osseo di 15 persone (mentre 4 soggetti avevano sviluppato una risposta immunitaria molto debole: la prova che, comunque, non basta aver avuto la covid per considerarsi immuni).
Cinque partecipanti hanno donato il midollo osseo anche quattro mesi dopo, e i livelli di cellule B erano rimasti stabili.
In continua Evoluzione. Michel Nussenzweig, immunologo della Rockefeller University di New York, ha invece studiato la maturazione delle cellule B nel tempo, analizzando il sangue prelevato da 63 persone guarite dalla covid un anno prima, un terzo delle quali vaccinata con almeno una dose di vaccino di Pfizer o Moderna. Gli anticorpi neutralizzanti, necessari per mettere al tappeto il SARS-CoV-2, sono rimasti invariati tra i 6 e i 12 mesi dall'infezione; altri anticorpi meno importanti sono calati nel tempo, mentre le cellule B hanno continuato a maturare, producendo anticorpi sempre più capaci di disarmare diverse varianti del virus. Questa persistente maturazione potrebbe dipendere da un piccolo frammento di virus sequestrato dal sistema immunitario e usato come "modello" per rimanere al passo con le sue trasformazioni.
Vaccinarsi, sempre. La vaccinazione ha amplificato le capacità neutralizzanti del sistema immunitario di 50 volte, mentre nei guariti non vaccinati le difese dopo un anno sono risultate indebolite - soprattutto rispetto alla variante sudafricana del virus. Insomma lo studio conferma che anche per i guariti è necessario sottoporsi al vaccino, che potrebbe avere benefici molto duraturi e offrire un'ampia copertura dalle varianti. L'immunità ridotta ai coronavirus stagionali potrebbe dipendere non tanto dalla qualità delle nostre difese, quanto dalla capacità dei patogeni di mutare considerevolmente nel tempo, più di quanto abbia fatto finora il SARS-CoV-2.