Il virus Ebola, responsabile della più grave epidemia della storia in Africa occidentale, non sta mutando in una forma più aggressiva, né sarà in grado di diffondersi per via aerea. È il verdetto di uno studio pubblicato sulla rivista Science, in cui si spuiega che, negli ultimi mesi, il tasso di mutazione del virus è paragonabile a quello registrato in precedenti focolai più piccoli. I ricercatori sottolineano comunque la necessità di ulteriori indagini per confermare i risultati del loro lavoro.
I numeri dell'epidemia. In sostanza, la ricerca afferma che se l'epidemia ha contagiato finora 24mila persone, uccidendone circa 10mila, questo non significa che il virus sia più feroce che in passato. «Non è diventato sempre più letale e sempre più virulento», dice David Safronetz, co-autore dello studio e ricercatore presso il National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID). «Il virus sta facendo quello che ha sempre fatto».
Per verificare gli eventuali cambiamenti dell'Ebolavirus, gli scienziati hanno fatto un confronto tra i dati di sequenziamento genetico ottenuti da un ristretto numero di casi registrati tra ottobre e novembre in Mali, e quelli ricavati da pazienti infetti nei mesi precedenti: per la precisione nel marzo 2014 in Guinea e a giugno in Sierra Leone. L'analisi ha suggerito che il virus non muta più velocemente e che i suoi cambiamenti genetici, inevitabili col trascorrere del tempo, non lo rendono più mortale o maggiormente contagioso.
i dettagli del confronto. Come spiega Heinz Feldmann, capo del Laboratory of Virology del NIAID, la ricerca si è inizialmente concentrata su un piccolo focolaio della malattia che, in Mali, sul finire del 2014 aveva coinvolto sei persone, tra cui una bambina di 2 anni. Il team ha ottenuto i campioni di sangue della piccola e di altri tre pazienti, riuscendo a sequenziale in modo completo il patrimonio genetico del virus.
Le altre due ricerche (qui quella relativa alla Guinea e qui quella riguardante la Sierra Leone) avevano già cercato di predire in che modo stesse mutando il virus, fornendo risultati contrastanti. In particolare, quella condotta sui campioni provenienti dalla Sierra Leone (la più grande in termini numerici: 99 genomi ricavati da 78 pazienti) sosteneva che il virus avesse un tasso di mutazione doppio rispetto allo scoppio dell'epidemia. Nessun intento allarmistico, tuttavia si segnalava che «le numerose mutazioni che alterano le sequenze proteiche e altri target biologicamente significativi» avrebbero potuto avere un impatto critico su «diagnostica, vaccini e terapie».
Feldmann e colleghi hanno incrociato queste informazioni con quelle del virus maliano e applicando un nuovo tipo di algoritmo hanno invece rilevato l'assenza di un tasso di evoluzione fuori dalla norma. Durante le loro verifiche hanno anche provato ad applicare l'algoritmo sul ceppo virale della Sierra Leone, ridimensionando le conclusioni dello studio antecedente.
Pericolo scampato? La conclusione più ovvia è che i test diagnostici, i vaccini e farmaci in fase di sviluppo per prevenire e curare la febbre emorragica da Ebola, possono continuare nella direzione attuale, senza incappare in brutte sorprese.
Allo stesso modo perde di consistenza l'ipotesi (per la verità da sempre poco probabile) che il virus possa propagarsi per via aerea come una comune influenza. Certo non bisogna abbassare la soglia di allerta, anche perché serviranno ulteriori verifiche per fugare qualunque dubbio.
Prossimamente, sottolinea Feldmann, dalla Liberia arriverà un nuovo lotto di campioni, che coprono un lasso di tempo che va da agosto a oggi. «I risultati saranno migliori se riusciremo a valutare l'intero arco dell'epidemia».