Uno dei principali timori sulla variante di SARS-CoV-2 individuata nel Regno Unito, la cosiddetta inglese, è che possa essere almeno in parte refrattaria alla risposta immunitaria stimolata dai vaccini anti-covid. È una paura fondata? È ancora presto per dare una risposta scientificamente accurata, ma le prime opinioni degli addetti ai lavori sembrano rassicuranti.
Occhi puntati sulla Spike. I vaccini a mRNA come quello di Pfizer e BioNTech o quello di Moderna forniscono all'organismo la ricetta per sintetizzare la proteina spike, un dettaglio ben riconoscibile dell'involucro esterno del SARS-CoV-2: questo semplice particolare è sufficiente a stimolare nel corpo umano la produzione di anticorpi, che torneranno utili in caso di successivi incontri con il coronavirus vero e proprio.
Alcune mutazioni presenti nella nuova variante del patogeno trovata nel Regno Unito riguardano proprio la spike: i timori su una possibile diminuzione di efficacia del vaccino sono quindi legittimi, ma rassicurazioni sono arrivate sia da parte dell'EMA (l'Agenzia europea per i medicinali), sia dagli stessi creatori del vaccino.
Un cauto ottimismo. Uğur Şahin, il medico tedesco co-fondatore di BioNTech, uno dei principali sviluppatori del vaccino già approvato in Europa, si è detto convinto che il vaccino proteggerà anche dalla nuova variante. Gli scienziati di BioNTech sono al lavoro per capire se questo ottimismo sia giustificato, o se invece si renderà necessario modificare il prodotto: occorrerà attendere un paio di settimane per una risposta precisa. «Tuttavia - ha detto Şahin - dal punto di vista scientifico è altamente probabile che la risposta immunitaria data da questo vaccino possa vedersela anche con le nuove varianti di virus».
La fiducia che questo sia possibile deriva dal fatto che le proteine della "variante inglese" di coronavirus sono per il 99% le stesse dei lignaggi di virus già conosciuti. Inoltre i vaccini allenano il sistema immunitario a respingere diversi punti della proteina spike: anche se singole porzioni fossero mutate, dovrebbero poter "funzionare" comunque.
Modifiche in corsa. Nella peggiore delle ipotesi, se fosse necessario aggiornare il vaccino per renderlo più efficace contro la nuova versione del SARS-CoV-2, l'operazione potrebbe essere svolta velocemente, nell'arco di sei settimane. La flessibilità è infatti uno dei vantaggi della tecnologia a mRNA, che a differenza di quella tradizionale (sfruttata per esempio nel vaccino di Oxford) non deve ricorrere a un altro virus preformato: è il corpo stesso a produrre le proteine "bersaglio", senza bisogno di virus né di sue parti, neppure depotenziate.
Come aveva spiegato il genetista Giuseppe Novelli a Focus.it, «il sistema è versatile, perché permette di generare nuovi segmenti di RNA al computer, sintetizzarli e usarli per stimolare altri anticorpi». Una strategia facilmente replicabile in più laboratori, trasferibile anche ad altri bersagli e utilizzabile anche quando serve prendere di mira non uno solo ma più antigeni.
Una corsa contro il tempo. «La bellezza della tecnologia a mRNA è che possiamo iniziare direttamente a ingegnerizzare un vaccino che imiti questa nuova variante», ha precisato Şahin. Anche se bisognerebbe in quel caso approvare i cambiamenti prima di avere a disposizione dati di efficacia, per non interrompere la campagna vaccinale. Lunedì 21 dicembre, anche gli esperti dell'EMA si erano espressi positivamente circa l'efficacia del vaccino di Pfizer-BioNTech contro la nuova variante. Se però con la circolazione del virus cominciassero ad emergere più mutazioni a carico della spike, allora il rischio inefficacia sarebbe maggiore.