L'ultimo caso segnalato dalle cronache è quello di una radiologa dell'ospedale pediatrico Mayer di Firenze, ammalatasi di morbillo, contratto probabilmente da un paziente e ricoverata in ospedale a fine marzo. Non è un'eccezione: in Piemonte, Lombardia e Lazio un caso di morbillo ogni dieci ha riguardato operatori sanitari o soggetti che lavorano in ambiente ospedaliero. In Toscana nei primi due mesi del 2017 almeno metà dei casi si è verificato tra operatori sanitari.
Perché i sanitari si ammalano di morbillo? Perché non si vaccinano: lo si scopre grazie a un recente sondaggio online i cui risultati sono stati resi pubblici nel corso della conferenza nazionale medice cura te ipsum (lat. «medico, cura te stesso»), che si è tenuta a Pisa il 27 e 28 marzo 2017. Perché non si vaccinano? Perché quasi un sanitario su tre è scettico sull'efficacia dei vaccini ed esprime il timore che possano causare effetti avversi gravi.
Trivalente per il cervello. Condotto su 2.250 operatori sanitari (prevalentemente infermieri ma per oltre un quarto di medici), il sondaggio ha rivelato che il 44% dei sanitari intervistati ritiene di avere un rischio basso di contrarre una malattia prevenibile con un vaccino.
Convinzione errata!
Circa il 10% dei casi notificati in Piemonte, Lombardia e Lazio riguarda operatori sanitari. In Toscana si arriva addirittura a un caso su tre, e nelle province di Pisa e Firenze il virus del morbillo ha trovato in ospedale un ambiente particolarmente favorevole: ben il 50% dei casi riguarda operatori sanitari (medici, infermieri, ostetriche). Nel capoluogo toscano 6 bambini ammalatisi di morbillo sono figli di professionisti che hanno contratto l'infezione in ospedale.
Paradossalmente, notano gli organizzatori del convegno, i sanitari, che dovrebbero essere i più preparati e consapevoli della propria responsabilità anche nei confronti dei pazienti, hanno tassi di vaccinazione talora inferiori a quelli della popolazione generale.
Eppure la vaccinazione degli operatori sanitari ha tre valenze:
I virus non guardano in faccia nessuno. L'operatore sanitario non vaccinato, più esposto di altre categorie a contrarre l'infezione dai pazienti, diventa un anello (debole) della catena e a sua volta una fonte di contagio per la popolazione di pazienti, già debilitata dalle malattie che hanno imposto il ricovero.
Non si vaccinano contro il morbillo, ma neppure contro l'epatite B, infezione alla quale sono particolarmente esposti perché maneggiano liquidi biologici, aghi e materiali potenzialmente infetti. Né contro l'influenza stagionale (solo 1 medico su 5 si vaccina), con il rischio di ranghi ridotti proprio nel momento di massima necessità della popolazione.
A dispetto della professione di questi soggetti, ciò che forse non è loro ben chiaro è che non esistono virus pediatrici: in generale, i microbi non hanno nessun riguardo per l'età di qualcuno, per infettarlo.
Il risultato? Prendiamo il caso del Piemonte: ben 30 casi di morbillo si sono contagiati in ambiente ospedaliero. Di questi, 23 sono operatori sanitari, ma 7 sono pazienti che al momento del contagio erano ricoverati in ospedale per altre malattie e altri 8 contagiati hanno dichiarato di essersi recati in una struttura sanitaria prima dell'insorgenza dei sintomi.
Del resto, non c'è di che stupirsi: il virus del morbillo è particolarmente "appiccicaticcio". Il suo tasso di infettività, che i virologi esprimono in R0 (un valore che indica quanto un virus è contagioso) è elevatissimo. Secondo i CDC di Atlanta l'R0 del morbillo è 18: in parole anziché in numeri, vuol dire che ogni caso di morbillo si trasmette in media ad altre 18 persone. Per fare a confronto, il virus HIV, responsabile dell'AIDS, ha un R0 di 2: ogni singolo caso di infezione da HIV trasmette la malattia in media a due persone.
Ancora sul morbillo, va anche sottolineato che dopo aver contratto l'infezione passano 10-12 giorni prima che insorgano i sintomi: in quel lasso di tempo il portatore può infettare chiunque incontri. Non c'è neppure bisogno che si avvicini: basta che sia nella stessa stanza.