La nuova classe di farmaci impiegata per rubare un po' di tempo all'avanzata dei sintomi dell'Alzheimer potrebbe funzionare non tanto perché contrasta l'accumulo di placche amiloidi, ma perché stimola, involontariamente, la produzione di una proteina cruciale per la salute del cervello. Secondo uno studio pubblicato su Brain, l'aumento della proteina in seguito all'uso di questi farmaci può spiegare il rallentamento del declino cognitivo almeno tanto quanto la riduzione delle placche amiloidi.
Alzheimer: il paradosso delle placche amiloidi
Una proteina costituita da 42 amminoacidi nota come beta-amiloide 42 (Aβ42), prodotta da una più complessa proteina che si trova nella membrana che circonda le cellule nervose, è considerata un biomarcatore dell'Alzheimer perché è il maggiore costituente delle placche amiloidi. Questi depositi neurotossici che si osservano nei cervelli dei pazienti con Alzheimer sono formati da frammenti aggrovigliati, difficilmente eliminabili e "appiccicosi" di beta-amiloide.
Alberto Espay, neurologo della Scuola di Medicina dell'Università di Cincinnati (Ohio), da tempo ipotizza che la forma "sana" e solubile della Aβ42 sia cruciale per la salute dei neuroni e che a causare l'Alzheimer sia la perdita di questa proteina, e non tanto l'accumulo di placche amiloidi. Passate ricerche pubblicate da Espay e dal suo gruppo suggeriscono che i sintomi della demenza si presentino quando le concentrazioni di Aβ42 sono molto basse.
La trasformazione della proteina in placche amiloidi avverrebbe per cause ancora da chiarire, ma sembrerebbe una normale risposta del cervello allo stress (dovuto a invecchiamento, a meccanismi metabolici o a infezioni). «La maggior parte di noi accumula placche amiloidi invecchiando, ma ben pochi tra coloro che mostrano le placche svilupperanno demenza», spiega il neurologo. Eppure, l'eliminazione delle placche amiloidi è stata l'obiettivo delle poco fruttuose cure contro la malattia di Alzheimer negli ultimi decenni.
Farmaci anti-Alzheimer: perché portano beneficio?
Negli ultimi anni, diversi farmaci a base di anticorpi monoclonali (cioè ottenuti in laboratorio) studiati per rimuovere le placche amiloidi dal cervello hanno ottenuto l'approvazione nelle terapie di contrasto ai sintomi dell'Alzheimer - dal quale però non si può guarire. Di fatto, questi medicinali rallentano il declino cognitivo portato dalla demenza. Ma in che modo?
Espay si dice convinto che «Le placche amiloidi non causano l'Alzheimer, ma se il cervello ne produce troppe mentre si difende da infezioni, tossine o cambiamenti biologici, non può produrre abbastanza Aβ42, e fa scendere i livelli della proteina al di sotto di una soglia critica. È allora che emergono i sintomi della demenza».
Per la nuova analisi sono stati analizzati il declino cognitivo e i livelli di Aβ42 prima e dopo la cura di circa 26.000 pazienti coinvolti in 24 trial clinici randomizzati di questi trattamenti anti-Alzheimer. I livelli più elevati della proteina dopo il trattamento sono risultati associati a un più lento declino cognitivo. Il rallentamento dei sintomi potrebbe quindi essere dovuto a un gradito "effetto collaterale" dei farmaci, che riducendo le placche amiloidi accrescono i livelli della proteina solubile.
«Se il problema dell'Alzheimer è la perdita della proteina normale, allora aumentarla dovrebbe essere benefico, e questo studio ha dimostrato che lo è», dice Espay. «La storia ha un senso: è auspicabile aumentare i livelli di Aβ42 entro il range normale».
Farmaci anti-Alzheimer: inseguiamo l'obiettivo sbagliato?
Resta da chiedersi se, posto che l'ipotesi sia confermata con ulteriori studi, abbia senso fornire ai pazienti un trattamento anti-proteine per aumentare il livello di una proteina. E se non convenga invece trovare molecole studiate apposta per aumentare direttamente la produzione della Aβ42. Anche perché la rimozione delle placche amiloidi non è priva di effetti collaterali anche pericolosi, incluso il rischio di una più rapida riduzione del volume cerebrale una volta che il trattamento è concluso.