I bambini sono silenziosi diffusori della covid? Il ruolo dei pazienti in età pediatrica nella trasmissione del coronavirus SARS-CoV-2 torna sotto i riflettori dopo la pubblicazione di uno studio del Massachusetts General Hospital e del Mass General Hospital for Children di Boston, che suggerisce che il contributo dei più piccoli nella propagazione del virus possa essere molto più elevato di quanto si credesse.
Dalla ricerca pubblicata sul Journal of Pediatrics, condotta su 192 tra bambini e ragazzi da 0 a 22 anni (49 dei quali affetti da covid), emerge che, nei positivi al virus, la carica virale nelle vie respiratorie è molto più alta di quella trovata in pazienti adulti in terapia intensiva - nonostante appena la metà dei contagiati da covid presentasse febbre al momento della diagnosi.
Nessuno scudo. La carica virale è il numero di particelle virali che un individuo positivo ospita e diffonde nell'ambiente. Nei bambini seguiti dallo studio è risultata particolarmente elevata nei primi due giorni dell'infezione. Gli autori si sono detti sorpresi dall'elevata quantità di virus trovata nei pazienti: studi precedenti, anche recenti (come quello pubblicato all'inizio di agosto), avevano suggerito che i bambini potessero ospitare una carica virale equivalente a quella degli adulti, e che non fossero pertanto immuni dal contagio, come ritenuto in precedenza. Ma a lasciare perplessi è che a parità di carica virale, un paziente adulto possa ritrovarsi a dipendere dall'ossigeno, mentre un bambino potrebbe non presentare sintomi evidenti.
«I bambini non sono immuni a questa malattia, e i loro sintomi non sono correlati a esposizione e infezione», chiarisce Alessio Fasano, pediatra e direttore del Mucosal Immunology and Biology Research Center del Massachusetts General Hospital, tra gli autori dello studio. «Durante la pandemia i medici hanno esaminato quasi esclusivamente soggetti sintomatici, arrivando così all'errata conclusione che la maggior parte delle persone infette fosse costituita da adulti. Ma i nostri risultati mostrano che i bambini non sono protetti dal virus. Non dovremmo escluderli dalla platea dei potenziali diffusori.»
Perché sintomi più lievi? I bambini più piccoli, hanno rilevato i ricercatori, hanno un numero minori di recettori ACE-2, le serrature che il SARS-CoV-2 sfrutta per accedere alle cellule, e ciò potrebbe in parte spiegare perché i giovanissimi si ammalino meno gravemente degli adulti.
Tuttavia questo non sembra impedire ai bambini di ospitare comunque un'elevata carica virale e quindi, potenzialmente, di trasmettere l'infezione agli adulti.
In genere per le malattie infettive accade proprio così, un'elevata carica virale è legata anche a una più alta facilità di contagio, e tuttavia per la covid c'è un altro dato, apparentemente contraddittorio: la capacità di trasmettere l'infezione sembra aumentare con l'età.
I dubbi sulla capacità di contagio. Lo studio americano si è limitato ad analizzare la carica virale, senza valutare la contagiosità. Lo sottolinea al Corriere.it Angelo Ravelli, pediatra al Gaslini di Genova e segretario del gruppo di studio di Reumatologia della Società Italiana di pediatria, per il quale l'esperienza clinica insegna che «la maggiore carica virale è direttamente proporzionale alla gravità dei sintomi e sembra poco probabile che bambini asintomatici siano più pericolosi di adulti gravemente malati. Purtroppo ci sono molti studi sulla carica virale e pochi sulla contagiosità. Le ricerche sono molte, a volte contraddittorie e poco sovrapponibili per questioni di metodo. Non andrebbe letto il singolo studio, ma interpretata la tendenza».
Il principio di precauzione. Purtroppo siamo ancora nel pieno della pandemia, almeno a livello globale, e senza poter guardare le cose dalla giusta distanza è difficile interpretare la tendenza. Dal punto in cui siamo, i risultati dello studio lasciano intendere che la misurazione della temperatura e il monitoraggio dei sintomi, seppure necessari, non siano sufficienti a scongiurare la circolazione della covid nelle scuole, visto che anche bambini asintomatici possono ospitare massicce cariche virali.
Meglio funzionerebbe, secondo gli autori, un approccio che ponga l'enfasi su distanziamento, uso universale della mascherina e attento lavaggio delle mani, insieme a controlli di routine e continuativi a tutti gli studenti, per la ricerca del virus anche nei casi insospettabili. Comportandosi, insomma, come se fossimo tutti potenzialmente positivi.