Per spiegare l'origine della CoViD-19, ormai lo sappiamo, non occorre scomodare improbabili teorie su una possibile fuga di patogeni da laboratori di biosicurezza: è sufficiente analizzare in modo obiettivo il rapporto sempre più squilibrato tra l'uomo e gli habitat naturali. Un nuovo studio pubblicato su Nature Food compie un piccolo passo in più e traccia, in una serie di mappe, i "punti caldi" dove potrebbero emergere future pandemie da coronavirus.
Incontri pericolosi. Un gruppo di scienziati composto da Maria Cristina Rulli e Nikolas Galli del Politecnico di Milano, Paolo D'Odorico della University of California at Berkeley (Stati Uniti) e David Hayman della Massey University (Nuova Zelanda) ha incrociato i dati sulle forme meno sostenibili di sfruttamento del suolo da parte dell'uomo con quelli sulla distribuzione dei serbatoi animali di coronavirus, per trovare gli hotspot (i "punti caldi") presenti e futuri di altre potenziali zoonosi altamente contagiose.
La covid, agli inizi. La teoria più accreditata sull'origine del SARS-CoV-2 vuole che il coronavirus della covid sia stato trasmesso, all'uomo o a una specie intermedia, dai pipistrelli ferro di cavallo (Rhinolophus affinis): in quelli che si trovano nella provincia dello Yunnan, in Cina, è stato infatti isolato il genoma del parente più prossimo a noi noto del virus della CoViD-19, il coronavirus RaTG13, che ha un profilo genetico per il 96,2% identico al patogeno dell'attuale pandemia.
Poiché il Rhinolophus ospita spesso coronavirus, molti dei quali ancora da scoprire, i ricercatori hanno pensato di individuare le zone in cui è più elevata la probabilità di interazione tra questi animali e l'uomo, analizzando lo sfruttamento del suolo in 10.000 aree di Europa e Asia. Per farlo si sono avvalsi di dati satellitari ad alta risoluzione.
Colpa nostra. Sono infatti le attività umane, e non certo la semplice presenza dei pipistrelli nell'habitat, a determinare il rischio del passaggio dei virus dagli animali all'uomo (spillover). Per esempio, l'avanzare di insediamenti umani in aree un tempo occupate da foreste aumenta le occasioni di contatto con gli animali che ospitano i patogeni; la crescita degli allevamenti intensivi fornisce ai coronavirus una vasta gamma di potenziali ospiti animali intermedi, immunodepressi e ammassati in poco spazio; la frammentazione delle foreste riduce le specie animali specialiste (cioè che hanno nicchie ecologiche limitate) e aumenta diffusione e capacità di movimento di quelle generaliste, con ampie capacità di adattamento, come appunto i pipistrelli ferro di cavallo.


Dove guardare? Analizzando la diffusione di comportamenti deleteri per l'habitat, come deforestazione e frammentazione delle foreste per l'espansione dei terreni coltivati, la densità degli allevamenti animali o la presenza di insediamenti umani nelle regioni popolate dai pipistrelli ferro di cavallo - un'area totale superiore a 28,5 milioni di km quadrati tra Europa occidentale fino all'Asia orientale - il team ha mappato i punti dove oggi o in futuro potrebbero insorgere nuove pandemie da coronavirus. La maggior parte degli attuali hotspot si trova in Cina, dove una crescente domanda di prodotti alimentari di origine animale ha determinato l'espansione dell'allevamento industriale su larga scala, e dove c'è un'alta densità di popolazione e di frammentazione delle foreste con insediamenti umani.
Ma se si analizza come sta cambiando l'utilizzo del suolo e si guarda al futuro, si vede che molte aree al di fuori della Cina, come per esempio il Giappone e il nord delle Filippine, vulnerabili alla frammentazione delle foreste, o alcune parti del sudest asiatico, largamente dedicate agli allevamenti animali, potrebbero essere sedi di eventuali futuri spillover. «La salute umana», ricordano gli scienziati, «è connessa con la salute ambientale e anche con la salute degli animali».