La Food and Drug Administration, l'ente che negli Stati Uniti si occupa della regolamentazione dei farmaci, ha approvato prescrizione e vendita di una pillola con un sensore integrato che tiene traccia digitale dell'ingestione: è una "prima volta", e sembra aprire la strada all'era dei farmaci smart (e della sorveglianza medica).
Costretti. Il trattamento, chiamato Abilify MyCite, è già nelle premesse fortemente controverso. Prima di tutto, per il tipo di farmaco cui è abbinato: l'aripiprazolo, un antipsicotico usato per curare disturbi bipolari, schizofrenia e disordini depressivi maggiori. L'obiettivo è sfruttare la tecnologia per aumentare la "collaborazione" del paziente e la regolarità nell'assumere il medicinale, anche quando i sintomi sembrano meno gravi. Ma tra le buone intenzioni e il rischio di una deriva coercitiva, il passo sembra corto.
Come funziona. Il farmaco è completo di un piccolo sensore ingeribile grande quanto un granello di sabbia (Ingestible Event Marker, IEM), a base di rame, silicio e magnesio in quantità "sicure" e non tossiche. Quando la pillola contenente lo IEM è ingerita, gli acidi dello stomaco attivano il sensore che invia un segnale elettrico a un cerotto indossato dal paziente sul petto. Il cerotto registra data e ora dell'ingestione della pillola e manda queste informazioni a una app accessibile al medico curante, al paziente stesso e ai suoi familiari.
Sotto controllo. L'adesione è su base volontaria: il paziente deve rilasciare un "consenso informato" e in qualunque momento può escludere chi vuole dai "contatti" della sua app. In teoria il sistema dovrebbe migliorare la costanza nell'assunzione dei farmaci: il classico trucco della pillola nascosta sotto la lingua (e poi sputata) non vale più. Tuttavia, sono molti gli esperti preoccupati delle possibili conseguenze psicologiche di un "Grande Fratello" farmacologico, soprattutto per il tipo di paziente che ha accesso a questo tipo di farmaco.
Vento sul fuoco. L'aripiprazolo è prescritto a pazienti inclini a deliri e paranoie: «Molti malati di schizofrenia non prendono medicinali perché non sopportano gli effetti collaterali, perché credono di non avere una malattia o perché diventano paranoici sulle intenzioni del loro medico», ha spiegato al New York Times Paul Appelbaum, psichiatra della Columbia University. «Si potrebbe pensare che qualunque altro medicinale, in psichiatria o in medicina generale, sia un punto di partenza migliore rispetto a un farmaco per la schizofrenia.»
Costi sociali. Non mancano poi i problemi legali: quello della privacy digitale e quello di una possibile fuga di dati alle assicurazioni, tanto per citarne due. Bisogna però anche precisare che il trattamento, disponibile dal prossimo anno, potrà essere impiegato anche in altri ambiti: per esempio per aiutare i pazienti anziani a ricordarsi di prendere le medicine.
Dietro alla decisione della FDA ci sono anche importanti fattori economici: ogni anno più di 105 miliardi di dollari (89 miliardi di euro) vengono spesi per le conseguenze della mancata aderenza alle terapie.