Secondo quanto rilevato da uno studio presentato durante la British Cardiovascular Society Conference, le forme più gravi di infarto si verificano più spesso il lunedì: lo studio ha raccolto i dati relativi a 10.528 pazienti irlandesi arrivati in ospedale tra il 2013 e il 2018 con sintomi da STEMI (infarto miocardico acuto associato a sopraslivellamento del tratto ST), la forma più grave di un attacco di cuore che avviene quando un'arteria coronarica principale viene completamente bloccata.
Ritmi sballati. Perché proprio il lunedì? Studi precedenti suggeriscono che la colpa sarebbe indirettamente del rientro al lavoro e del fatto che, dopo il relax del fine settimana, il nostro corpo deve riadattarsi al ritmo sonno-veglia dei giorni feriali. «La causa è probabilmente multifattoriale», spiega Jack Laffan in un comunicato stampa, «tuttavia, sulla base anche di quanto sappiamo da ricerche precedenti, è ragionevole presumere che sia coinvolto il nostro ritmo circadiano».
Infarto e arresto cardiaco vengono spesso usati come sinonimi, ma non sono la stessa cosa: il primo (l'attacco di cuore) avviene quando vi è un problema di circolazione sanguigna in una delle arterie del cuore; il secondo invece si verifica quando vi è un "malfunzionamento" nel sistema elettrico del cuore, spesso dovuto alla fibrillazione atriale (un tipo di battito irregolare), che fa sì che il cuore non riesca a pompare sangue in modo corretto al resto del corpo.
Secondo quanto scoperto dall'American Heart Association, sarebbero proprio le vacanze ad essere fatali: l'ultima settimana di dicembre è infatti il periodo in cui si registra il maggior numero di casi di attacchi di cuore in confronto a qualunque altro momento dell'anno. I cambiamenti nella routine, nell'esercizio fisico e nella dieta potrebbero esporre le persone a maggiori rischi.
Maledetto lunedì. «Questo studio conferma le ipotesi di studi precedenti riguardo al periodo in cui si verificano la maggior parte di attacchi di cuore gravi, ma ora dobbiamo capire perché in alcuni giorni della settimana si verifichino questi picchi. Così facendo, capiremo meglio questa patologia mortale riuscendo a salvare più vite in futuro», concludono gli autori.