La covid in gravidanza fa correre alle future madri un rischio maggiore di parto pretermine: la Giornata mondiale del prematuro o della prematurità (World Prematurity Day), la ricorrenza del 17 novembre dedicata al sostegno dei neonati venuti al mondo prima del tempo e delle loro famiglie, è quest'anno l'occasione per riflettere sul tema del parto ai tempi della pandemia.
Epilogo precoce. Secondo una recente analisi dei Centri per il Controllo e la Prevenzione delle malattie statunitensi (CDC) basata sui dati di 4.500 donne in attesa con CoViD-19, l'infezione in gravidanza è associata a un aumento significativo del rischio di parto prematuro. Nello studio, 3.900 madri hanno fornito informazioni sull'età gestazionale del loro bambino: all'interno di questo gruppo, il 13% (500) dei neonati è venuto alla luce prima del tempo, una percentuale più alta rispetto alla media nazionale del 2019 che è del 10%.
Partenza in salita. Si definisce parto prematuro la nascita che avviene prima della 37esima settimana di gestazione, un evento che interessa ogni anno 15 milioni di bambini e che risulta in aumento. Il parto prematuro si verifica per diverse ragioni (le infezioni sono tra queste) e le sue conseguenze rappresentano la prima causa di morte per i bambini al di sotto dei 5 anni di età. Lo sviluppo incompleto legato a una nascita pretermine può essere all'origine, nei casi più gravi, di problemi dell'apprendimento, difficoltà visive e uditive e altri ritardi e disabilità. Tre quarti delle morti neonatali legate ai parti prematuri si potrebbero evitare con interventi di prevenzione, come una maggiore cura delle donne in gravidanza.
Come inquadrare lo studio. La relazione tra covid e gravidanza è complessa e ricca di sfumature. Si pensa che questa condizione possa favorire un aumentato rischio di infezione grave da coronavirus, ma allo stesso tempo sembra che i lockdown abbiano ridotto un po' ovunque i parti prematuri: le donne sane che non hanno contratto la covid e possono lavorare da casa traggono forse beneficio dai ritmi più lenti e dalla protezione dai patogeni offerti dall'ambiente domestico.
Possibili spiegazioni. Ancora non è chiaro perché invece l'infezione da covid in gravidanza sia associata al rischio di parto prematuro. Una possibile ragione è nelle medesime "condizioni di base": le donne che più di altre rischiano il parto prematuro, perché affette da malattie pregresse, perché appartenenti a minoranze etniche o provenienti da situazioni socio-economiche più difficili, sono anche più a rischio di un contagio da covid.
Nello studio dei CDC le future mamme afroamericane rappresentano una fetta importante delle donne studiate (molte avevano condizioni di rischio per la covid): queste disparità di base potrebbero aver inciso sui risultati. Anche il fatto che la covid possa avere manifestazioni più serie in gravidanza potrebbe essere legato a un maggiore rischio di parto prematuro.
Una nota di speranza. Fortunatamente, il rischio di trasmettere la covid al nascituro si conferma basso: nello studio soltanto il 2,6% dei soli 610 neonati per cui erano disponibili dati risultava positivo a una settimana dalla nascita. La metà di essi era nato prematuro, ma questo sembra riflettere il fatto che i test per la covid sui neonati sono più frequenti in caso di nascita pretermine.