Nella Giornata Mondiale del Cuore, indetta dalla World Heart Federation con l'obiettivo di informare e sensibilizzare i cittadini sull'importanza della prevenzione delle malattie cardiovascolari, vi proponiamo l'articolo Al cuore del problema, pubblicato nel numero 372 di Focus attualmente in edicola.
Non hanno ancora compiuto 35 anni, a volte sono giovanissimi, spesso atleti in erba o addirittura sportivi professionisti. All'improvviso si accasciano e, se non interviene prontamente il 118, non c'è nulla da fare: la morte cardiaca improvvisa ogni anno colpisce un migliaio di under 35, persone in cui, non di rado, questa è la prima (e purtroppo ultima) manifestazione di una malattia cardiaca occulta. A volte anche l'autopsia indica che la struttura del cuore era del tutto normale: alla base del problema infatti ci sono in molti casi sindromi aritmiche su base genetica, in cui per colpa di una mutazione del Dna il battito del cuore è suscettibile a sviluppare aritmie gravi.
Spesso accade che l'evento aritmico che porta a svenimento sia la prima manifestazione della malattia. L'identificazione del primo paziente affetto permette poi di identificare altri casi in una famiglia. A seconda del tipo di malattia genetica identificata in un soggetto, esistono cure specifiche, e a volte l'analisi genetica è così importante che permette non solo di identificare la diagnosi della patologia che ha causato una grave aritmia, ma addirittura sulla base di questa analisi il medico può usare una cura specifica: è la "medicina personalizzata".
Purtroppo sino a ora non esistono trattamenti che "guariscano i pazienti" ma solo terapie che riducono il rischio di avere aritmie gravi. Per questo motivo, i pazienti devono assumere farmaci per tutta la vita dal momento della diagnosi. Questa situazione può quindi creare un'ansia nei genitori, sempre preoccupati che i figli si dimentichino di assumere regolarmente la terapia. Grazie agli enormi passi avanti fatti dagli scienziati, in un prossimo futuro la cura di queste patologie dovrebbe cambiare grazie a nuovi trattamenti basati sulla "terapia genica".
Silvia Priori, professoressa di Cardiologia presso l'Università di Pavia e direttrice dell'Unità di Cardiologia molecolare degli Istituti Clinici e Scientifici Maugeri di Pavia, da tempo lavora alla possibilità di curare le alterazioni che rendono il cuore elettricamente instabile, e oggi finalmente, come racconta, un cauto ottimismo sembra lecito.
Che cosa si intende innanzitutto per terapia genica?
I geni sono formati da Dna che contiene le "istruzioni" per produrre tutte le proteine presenti nel nostro organismo: ciascuna con specifiche funzioni.
Quando si nasce con un difetto del Dna che porta le informazioni per costruire le proteine che regolano il movimento di elettricità nelle cellule del cuore, la funzione delle proteine viene alterata. In alcuni casi, la proteina "malata" funziona troppo poco o è addirittura assente o fortemente ridotta, in altri casi invece funziona troppo ed è pertanto iperattiva. La prima condizione è la più comune, perché l'evoluzione ha selezionato le proteine che funzionano al meglio per ogni determinato compito e quindi una alterazione anche minima in un gene risulta dannosa e, nella maggior parte dei casi, ne riduce la funzioni.


Raramente accade invece che il difetto genetico riesca ad aumentare la funzione della proteina: purtroppo però un aumento di attività non è un fattore positivo e infatti risulta altrettanto dannoso di una perdita di funzione. Per tornare alla domanda, la terapia genica consiste nell'intervenire con strategie molecolari, sia correggendo la carenza di proteina sia riducendo l'attività delle proteine iperfunzionanti.
Con quali metodi si possono "restituire" all'organismo proteine che sono quantitativamente ridotte o assenti a causa di un difetto genetico?
In queste situazioni si deve far arrivare al cuore il Dna sintetico che contiene le istruzioni per produrre la proteina mancante. Un volta sintetizzato, il gene "normale" viene inserito in un virus che, ovviamente è totalmente innocuo e pertanto funge da vettore: una "siringa biologica" che entra nelle cellule del paziente, raggiunge il nucleo e vi inietta il Dna che abbiamo prodotto in laboratorio, avviando così la sintesi della proteina mancante.
Si utilizzano in genere i virus adeno-associati (virus con una singola elica di Dna che sono stati isolati assieme agli adenovirus e sono difettivi, ovvero hanno bisogno di altri virus per poter dare un'infezione, ndr). Questi virus hanno anche la caratteristica di entrare solo in alcune cellule dell'organismo. Per esempio gli adenoassociati di tipo 8 e quelli di tipo 9, una volta iniettati nel circolo sanguigno, vanno selettivamente al cuore.
In che modo invece si può modificare una proteina mutata troppo attiva?
Per ridurre la quantità di proteine troppo abbondanti o iperattive si utilizza un meccanismo presente nelle cellule che si chiama l'interferenza dell'Rna: piccole molecole di Rna disegnate specificamente per la proteina di cui vogliamo ridurre la quantità, distruggono l'Rna messaggero (mRna) che produce la proteina mutata, lasciando però inalterata la quantità di proteina normale.
Per esempio, nel nostro gruppo siamo riusciti a identificare mRna che in modelli di malattia nel topo hanno dimostrato la capacità di spegnere la produzione di proteine iperfunzionanti, senza ridurre la quantità di proteine normali.
Siamo riusciti a bloccare lo sviluppo di aritmie gravi sia per malattie tipo la sindrome del QT lungo sia per la tachicardia ventricolare polimorfa catecolaminergica. Questo tipo di studi ha avuto un grosso slancio a seguito della pandemia, perché grazie alla realizzazione e al'impiego dei vaccini a mRna è stato possibile capire che queste molecole non sono tossiche nell'uomo. Ora siamo in attesa che inizino i processi per portare ai primi studi clinici nell'uomo.
Utilizzare la terapia genica sul cuore è difficile?
Per molto tempo si è pensato che lo fosse, perché le cellule muscolari cardiache non si dividono e questo rende difficile l'uso di alcune tecniche di correzione dei geni malati quali per esempio l'"editing " del Dna.
Sull'uomo è stato condotto a oggi un solo ampio studio clinico di terapia genica, il Cupid, in pazienti con scompenso cardiaco, quindi una patologia ben diversa rispetto alle aritmie congenite.
In questo studio la terapia genica non ha dato risultati positivi, ma è stato un banco di prova utile: nei pazienti che hanno ricevuto la terapia non si sono osservati effetti collaterali e questo ha fatto capire che la terapia genica può essere somministrata ai pazienti cardiopatici, elemento tutt'altro che trascurabile.
Nel frattempo sono state studiate terapie geniche per altre patologie ereditarie, per esempio l'emofilia, e così oggi c'è molto ottimismo sulla possibilità di sviluppare trattamenti mirati che possano essere molto efficaci soprattutto nelle malattie cardiache ereditarie.
I dati degli esperimenti sugli animali sono incoraggianti?
Sì, anche perché altrimenti non potremmo procedere con l'intervento nell'uomo: nei topolini sappiamo che alcune aritmie possono essere di fatto risolte con la terapia genica. Il nostro gruppo, che lavora anche in Spagna, ha condotto in laboratori spagnoli test di efficacia della terapia genica anche sui maiali portatori di malattie geniche umane. Questi esperimenti rappresentano un passo avanti perché i maiali hanno il cuore di dimensioni paragonabili a quello umano e possono essere indagati con metodi quali il mappaggio elettrofisiologico (che consente di individuare con precisione i "focolai" aritmici e dove originano, ndr) o la risonanza magnetica, non applicabili sul cuoricino di pochi grammi di un topolino. Anche sui maiali i risultati hanno confermato l'efficacia della terapia genica.
Su quali malattie cardiache si potrà intervenire con la terapia genica?
Le prime candidate sono patologie provocate dal difetto di un singolo gene, già noto e replicabile nelle cellule in vitro così da poter indagare i meccanismi di malattia e disegnare molecole specifiche in grado di ridurre il rischio aritmico.
Esempi sono malattie ereditarie come la cardiopatia aritmogena del ventricolo destro, la tachicardia ventricolare catecolaminergica e la sindrome del QT lungo. Un problema come l'infarto, che dipende da tanti fattori e non da una sola mutazione genetica, restano per ora obiettivi più complicati da affrontare con la terapia genica. In futuro si arriverà allo sviluppo di terapie geniche per queste malattie multifattoriali.
La terapia genica sarà applicabile a tutti i pazienti con aritmie congenite?
Come in tutte le terapie, ci saranno casi in cui non sarà indicato questo approccio e, anche per questo, la ricerca farmacologica classica prosegue. Tuttavia il vantaggio innegabile della terapia genica è che in teoria potrebbe bastare una singola somministrazione di terapia genica per risolvere il problema per anni: dai dati sugli animali si stima che i Dna o gli Rna possano compensare gli effetti del difetto genetico per almeno una decina di anni e se questo si dimostrerà altrettanto vero nei pazienti significherà correggere l'aritmia, svincolarsi dalla terapia quotidiana a lungo termine con i farmaci e recuperare quindi una migliore qualità di vita.
A che punto è la ricerca? Quando è previsto l'avvio degli studi clinici?
Abbiamo iniziato a parlarne con cautela ai pazienti e ai loro familiari, speriamo di poter iniziare gli studi clinici nell'arco di un anno circa: non vogliamo dare false speranze e la fase di preparazione è lunga e articolata. Adesso, per esempio, stiamo cercando di caratterizzare al meglio la popolazione dei pazienti candidabili per capire quanti abbiano anticorpi per i virus adeno-associati e quindi quanti potrebbero non rispondere alla cura (si tratta infatti di virus respiratori che i pazienti potrebbero avere già incontrato; in tal caso il vettore virale verrebbe subito riconosciuto ed eliminato dal sistema
immunitario, ndr). Si inizierà, come per tutti i farmaci, con uno studio di fase 1 con pochi soggetti in cui capire sicurezza ed efficacia dell'approccio terapeutico, impiegando le terapie geniche che nelle sperimentazioni animali hanno avuto i migliori risultati, abolendo o quasi le manifestazioni cliniche della patologia trattata.
Non sappiamo ancora quale terapia genica per malattie ereditarie del cuore arriverà per prima in clinica. Ciò che però è importante è che si apra la strada, dimostrando sicurezza ed efficacia: se questo accadrà avremo senz'altro una rapida evoluzione di nuove cure per le patologie genetiche del cuore.