Il sospetto che l'uso dello smartphone abbia anche effetti collaterali sulle nostre vite, lo abbiamo da un pezzo: in questi anni abbiamo letto, per esempio, di come il cellulare abbia peggiorato il livello di attenzione negli studenti, abbiamo scoperto addirittura che camminare con lo sguardo continuamente puntato sul piccolo schermo finisca per stressarci la cervicale, ma soprattutto abbiamo sperimentato come questo intruso tecnologico stia annientando la qualità della conversazione con chi ci sta vicino.
È Una conferma. Ora uno studio frutto della collaborazione tra ricercatori dei dipartimenti di Psicologia e di Sociologia dell'Università Milano-Bicocca conferma, in particolare, gli effetti in ambito familiare: secondo la ricerca pubblicata sul Journal of Social and Personal Relationships, infatti, prestare attenzione al proprio smartphone in presenza dei figli peggiorerebbe le relazioni al punto da avere ripercussioni sul benessere psicologico dei ragazzi.
Questo comportamento, noto tra gli esperti come "phubbing" (che viene da phone, telefono cellulare, e snubbing, snobbare), era stato finora studiato prevalentemente all'interno di relazioni lavorative e di coppia, col risultato di dimostrare che chi lo subisce finisce per vedere compromessi il proprio benessere psicologico e la qualità della relazione con i colleghi o con il partner. Con questo studio, che ha coinvolto 3.000 adolescenti di età compresa tra 15 e 16 anni, i ricercatori hanno voluto allargare l'osservazione del phubbing all'ambito genitoriale e hanno dimostrato come gli adolescenti che si sentivano maggiormente vittime di phubbing da parte dei loro genitori si percepivano anche più distanti da essi, socialmente disconnessi, ignorati ed esclusi.
Siamo solo all'inizio. Secondo Luca Pancani, psicologo sociale e uno degli autori dello studio, il phubbing è un fenomeno di esclusione sociale a tutti gli effetti, che induce la sensazione di essere ignorati, invisibili: fa sentire cioè "non esistenti" in un dato contesto. «Pur essendo ormai radicato in molteplici ambiti relazionali», aggiunge Tiziano Gerosa, sociologo e coautore della ricerca, «il phubbing rimane un fenomeno relativamente recente e non è dunque ancora regolato da esplicite norme sociali (come quelle che ci suggeriscono, per esempio, come "dobbiamo" comportarci a tavola, porci nei confronti degli altri o esprimerci in certe situazioni)». Questa ricerca, e la conseguente diffusione dei suoi risultati, possono dunque contribuire a sensibilizzare su questo tema e a spingere verso la costruzione di norme sociali che pongano dei limiti al phubbing anziché accettarlo passivamente.
I ricercatori, infine, sostengono che questa potrebbe essere solo la prima fase della loro ricerca e hanno già in mente una serie di approfondimenti futuri che mirano a dimostrare la "circolarità" del fenomeno: non sarebbero cioè solo i figli a subire phubbing dai genitori, ma anche i genitori a subirlo dai figli, alimentando così un circolo vizioso che accresce le sue ripercussioni all'interno del contesto familiare.