Un paio di mutazioni genetiche che si verificano in una finestra di tempo della vita della quale sappiamo pochissimo - l'inizio dello sviluppo embrionale - potrebbero, crescendo, aumentare il rischio di sviluppare schizofrenia. È quanto emerge da uno studio pubblicato su Cell Genomics, che si spera servirà a mettere a punto nuovi trattamenti farmacologici per i pazienti affetti da questa malattia.
Schizofrenia: sintomi e cause. La schizofrenia è un importante disturbo psichiatrico che si manifesta all'inizio dell'età adulta e interessa una persona ogni 300. I sintomi comprendono deliri, allucinazioni, ritiro sociale e un progressivo deterioramento della capacità di prendere decisioni, di provare piacere, mantenere o stabilire affetti. Le cause sono tutt'ora piuttosto incerte: anche se pare ci sia una componente genetica, fattori ambientali come traumi al momento del parto o durante l'infanzia, infezioni virali o l'uso di sostanze psicoattive potrebbero predisporre a questa condizione.
Mutazioni casuali. Per quanto riguarda la componente genetica, fino ad ora erano state rintracciate soltanto una dozzina di mutazioni associate al rischio di schizofrenia, tutte ereditarie. Nel nuovo studio, Christopher Walsh e i colleghi del Boston Children's Hospital nel Massachusetts ne hanno individuate altre due, di tipo somatico, cioè non ereditate ma acquisite in modo casuale, in questo caso nelle prime fasi dello sviluppo embrionale.
Una piccola differenza. Analizzando i dati genetici estratti dai campioni di sangue di più di 12.800 adulti con schizofrenia e più di 11.600 senza, gli scienziati hanno scoperto che in sei persone affette da schizofrenia, ma in nessuna di quelle senza, un gene chiamato NRXN1 risultava cancellato. È parso subito evidente che la mutazione non era ereditaria perché questo tipo di mutazioni sono in genere presenti su ogni cellula del corpo, mentre quella isolata nei sei individui con schizofrenia si trovava in una percentuale di cellule sanguigne compresa tra il 14 e il 43%. Doveva perciò essere avvenuta in una cellula durante i primi giorni di sviluppo dell'embrione, ed essersi trasmessa soltanto ai discendenti di quella cellula.
Il gene NRXN1 codifica per una proteina che regola il numero e la densità di connessioni tra neuroni ed è quindi importante per l'apprendimento. «Sappiamo che mutazioni come queste individuate nel sangue probabilmente interessano una simile porzione di altre cellule nel corpo, incluse quelle del cervello, dove la schizofrenia si sviluppa» dice Walsh.
Farmaci inefficaci. Altre mutazioni, questa volta a carico di un gene chiamato ABCB11, sono state trovate nel 18-27 per cento delle cellule del sangue di sei partecipanti con schizofrenia, che non avevano risposto a un trattamento farmacologico contro la malattia, a base di un farmaco noto come clozapina.
Il gene ABCB11 codifica per una proteina che trasporta sali digestivi al fegato e nella sua forma non alterata è attivo nei neuroni che producono dopamina, il neurotrasmettitore che tutti chiamiamo "ormone del benessere". Quasi tutti i farmaci usati contro la schizofrenia prendono di mira questi neuroni, e la mutazione potrebbe renderli meno efficaci. Potrebbe essere perciò la causa della resistenza ai farmaci in alcuni pazienti, un'ipotesi che dovrà però essere testata.
Un tassello in più. Secondo i ricercatori, queste due alterazioni «possono contribuire a una piccola ma significativa parte dell'architettura genetica della schizofrenia». Conoscere meglio i meccanismi biologici all'origine della malattia aiuterà ad affinare i trattamenti farmacologici disponibili.