Si spera sempre di riuscire a trovare una cura per le malattie ancora senza soluzione, ma non sempre la guarigione è l'unico orizzonte possibile: alcune condizioni non ancora risolvibili, come l'AIDS, si possono tenere a bada per tutta la vita, come fossero malattie croniche; di altre siamo riusciti ad alterare il decorso naturale o la rapidità; per tutte, la via maestra da seguire è la ricerca, che in alcuni casi, dopo avere collezionato anni di insuccessi, deve saper rivoluzionare ipotesi e paradigmi.
Di farmaci impossibili e medicina del futuro si è parlato a Focus Live, insieme a Silvio Garattini, farmacologo, fondatore e presidente dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, Mario Clerici, Ordinario di immunologia e immunopatologia all'Università degli Studi di Milano e Rosetta Pedotti, neurologa di Biogen.
Sotto controllo, ma non curabile. Un farmaco impossibile per eccellenza è quello per la cura dell'AIDS. «La ricerca su questa malattia è tra i più grandi successi delle scienze mediche degli ultimi tempi», spiega Clerici: «dopo aver capito che si tratta di un'infezione sessualmente trasmessa, in 10 anni abbiamo creato una batteria di farmaci, non una cura ma una terapia per tenere la malattia sotto controllo per tutta la vita. Tuttavia il numero di nuovi casi non è in calo, ma sale, proprio perché lo si considera un problema del passato: il numero di nuovi casi è oggi pari a quello degli anni '80, e ogni anno si registrano nel mondo 4,5 milioni di diagnosi. Il 50% della popolazione colpita non ha accesso alle terapie, e senza una somministrazione continua di queste si muore: è tutt'altro che un problema del passato.»
Poco dopo l'identificazione del virus, 30 anni fa, si iniziò a parlare di un vaccino, «ma il virus sfugge agli anticorpi perché muta continuamente: non sappiamo come neutralizzarlo. La cura dell'HIV passerà attraverso la prevenzione, anche vaccinale, ma un vaccino non è nel futuro prossimo.»
Muoversi in anticipo. La prevenzione, appunto, è fondamentale laddove ancora non esiste una cura, ma va detto che «la prevenzione è una Cenerentola nella mentalità comune, perché si pensa che i farmaci possano risolvere tutto», aggiunge Garattini: «il 50-60 per cento delle malattie è legata allo stile di vita. Avremmo 70 mila morti in meno se non fumassimo, 30 mila in meno se non si bevesse troppo. Mi piacerebbe se in futuro i medici di famiglia venissero valutati sul numero di pazienti che riescono a far smettere di fumare, o a dimagrire... Anche questo sarebbe un modo per evitare di sovraccaricare il sistema sanitario».
«Il rapporto con la prevenzione è complesso», aggiunge Clerici: «per esempio, oggi si sa che l'assunzione di una cospicua dose di antiretrovirali - i PrEP, che sta per Pre-Exposure Prophylaxis - prima dei rapporti a rischio protegge dalla trasmissione del virus (nel 78% dei casi, ndr). Il risultato è un'esplosione dei casi di gonorrea, sifilide e altre malattie sessualmente trasmesse, perché si evita l'unico strumento in grado di proteggere da tutto, il condom.»
Un freno alla progressione. Di altre malattie possiamo oggi solo sperare di alterare il decorso, e in qualche caso è già molto: «Fino a 20 anni fa per la sclerosi multipla non esisteva nessuna terapia se non il cortisone», afferma Pedotti, «mentre oggi il paziente può scegliere tra una gamma di farmaci che agiscono sul sistema immunitario, alterando la storia naturale della malattia».
Su altre patologie, come l'Alzheimer, si ha l'impressione di trovarci a un punto morto della ricerca, ma tra gli addetti ai lavori qualcosa si muove: «Il paradigma sta cambiando - spiega Pedotti - oggi sappiamo che i sintomi compaiono 20 o anche 30 anni dopo l'accumulo di proteine neurotossiche, quando il danno è fatto. Ora si cerca di fare diagnosi precoce per vedere se le potenziali nuove terapie innovative funzionano se somministrate prima, nel tempo».
«Su queste malattie legate all'invecchiamento occorrerebbe concentrare le risorse», conclude Garattini: «l'Italia è tra i Paesi con maggiore durata della vita, ma rispetto ad altri Paesi europei siamo in deficit per durata di vita sana. Per 15 anni abbiamo seguito oltre 2.000 persone con più di 80 anni e abbiamo visto che le demenze si possono per lo meno posticipare con alcune buone pratiche di prevenzione: l'esercizio fisico, quello intellettuale, e il non isolarsi. In altre parole, coltivare relazioni positive.»