Possibile che il nostro umore, e perfino disturbi e malattie mentali possano essere influenzati dall’intestino? Sembra una stranezza, ma è l’ipotesi di ricerca su cui stanno lavorando da alcuni anni diversi gruppi di scienziati.
Ipotesi controverse. Negli ultimi tempi gli studi sul ruolo che le complesse popolazioni dei batteri intestinali, il cosiddetto microbiota, svolgono per la salute sono un campo in piena espansione. Da quando, grazie soprattutto alle tecnologie per il sequenziamento dei genomi, si è iniziato a saperne di più sull’incredibile varietà di microrganismi che popolano il nostro tratto intestinale, sono stati scoperti collegamenti inaspettati tra la composizione del microbiota e alcuni aspetti della nostra salute: non solo quelli più immediati e apparenti, come la salute del tratto digestivo oppure l’obesità, ma anche meno ovvi, come il funzionamento del sistema immunitario o addirittura del cervello.
Alcuni studi sono arrivati a stabilire delle associazioni tra squilibri di quella che comunemente viene chiamata flora intestinale e alcuni disturbi mentali. Tanto che, soprattutto negli Stati Uniti, si parla addirittura di usare “microbi dell’umore”, o “psicobiotici”, come supplementi per migliorare la salute mentale.
È un campo controverso e delicato, perché dati ben documentati e solidi su come uno squilibro dei batteri nell’intestino possa avere un ruolo nell’insorgenza di un disturbo psichico o di una malattia neurodegenerativa, non ce ne sono ancora.
Intestino e stress. L’insieme dei batteri che colonizzano il tratto gastrointestinale dell’uomo e della maggior parte degli animali si è evoluto nell’arco di migliaia di anni, fino a formare una relazione stabile e, per così dire, utile a entrambe le parti: la somma dei batteri e del corpo che li ospita viene spesso definita superorganismo (sul concetto di superorganismo vedi anche: sciami di api e società delle formiche).
Uno degli studi che ha inaugurato il filone della ricerca su batteri e cervello è stato condotto in Giappone nel 2004: i ricercatori dell’Università di Kyushu scoprirono che i topi germ-free, ossia allevati in ambienti sterili, privi di batteri intestinali, quando si trovano in situazioni di stress hanno in circolo una quantità di cortisolo (l’ormone dello stress) circa doppia rispetto ai topi normali. Su questo fatto molti ricercatori hanno poi dedicato grande attenzione.
Depressione. Un gruppo dell’Università di Cork, in Irlanda, sta per esempio studiando i legami tra microbiota e depressione a partire dall’osservazione che nell’intestino dei pazienti depressi è presente una minore diversità di batteri: l’ipotesi è che questo squilibrio possa avere un ruolo nella genesi del disturbo.
I ricercatori considerano anche l'ipotesi che una dieta che altera la salute dell’intestino, per esempio un’alimentazione con poche fibre, potrebbe rendere più vulnerabili.
Indagando su queste possibilità i ricercatori hanno condotto un esperimento: hanno trapiantato i batteri intestinali di pazienti depressi in ratti, per vedere se si verificava qualche cambiamento. In effetti, è stato verificato che gli animali iniziavano a riprodurre alcuni dei comportamenti tipici della depressione nella loro specie, per esempio il rifiuto di alcuni “piaceri”, come l’acqua zuccherata.
Alla MacMaster University (Canada) hanno fatto lo stesso tipo di esperimento, trapiantando in animali germ free le feci di pazienti sani oppure affetti da sindrome del colon irritabile, che si accompagna spesso a sintomi di tipo ansioso.
Anche in questo caso, col trapianto di feci di persone con disturbi di tipo ansioso, oltre ai sintomi intestinali i pazienti hanno iniziato mostrare segni di ansia.
Autismo? Parkinson? Ricercatori dell’Universtà dell’Illinois, ancora più di recente, hanno individuato una possibile via metabolica attraverso cui potrebbe realizzarsi il collegamento tra intestino e cervello. Gli studiosi hanno scoperto - in studi su animali - che alcune popolazione di batteri sono associate alla presenza di maggiori o minori quantità di certi ormoni e metaboliti nel sangue e nel cervello. La loro ipotesi è che squilibri del genere, durante lo sviluppo fetale, possano contribuire all’insorgenza di disturbi correlabili all’autismo.
Ricercatori del California Institute of Technology stanno invece studiando il ruolo dei batteri intestinali in una malattia neurodegenerativa come il morbo di Parkinson. Trapiantando feci di pazienti in animali geneticamente modificati per sviluppare la malattia, i sintomi motori mostrano una maggiore gravità.
Si tratta per ora soltanto di ipotesi, tuttavia la ricerca in questo ambito intriga molti scienziati e psichiatri, anche perché in mancanza di terapie efficaci per molti disturbi mentali, approfondire studi e ipotesi sulla loro genesi potrebbe comunque rivelarsi utile.