Una nidiata di topolini nati da genitori dello stesso sesso: due femmine, o due maschi. È accaduto grazie ad alcuni scienziati cinesi che hanno usato le nuove tecnologie di manipolazione del genoma. Il risultato, pubblicato sulla rivista Cell Stem Cell, è la conclusione di una linea di ricerca che studia cosa renda in natura molto difficile, per mammiferi dello stesso sesso, produrre prole.
Non è clonazione. Facciamo un passo indietro per spiegare come sia stato possibile questo risultato che apparentemente ha dell’incredibile. Innanzitutto, va precisato che non si è trattato di clonazione, in cui, come è successo per la prima volta per un mammifero nel caso della pecora Dolly, il nucleo della cellula staminale di un individuo adulto è stato inserito in un ovocita fecondato privato del suo nucleo e avviato a dare il via al processo di sviluppo embrionale. In quel caso la riproduzione sessuale era bypassata perché l’individuo nato era in realtà la copia di un solo genitore. O, se si vuole vederla da un altro punto di vista, nel caso della pecora Dolly le madri erano tre: la pecora di cui Dolly era la copia genetica, quella che aveva fornito la cellula embrionale in cui era stato inserito il DNA, e infine la femmina che aveva portato avanti la gravidanza.
Perché sono necessari padre e madre. Gli scienziati cinesi, come altri gruppi di ricerca, stanno studiando perché, al contrario che in alcuni rettili, anfibi e pesci, tra i mammiferi la riproduzione sia solo sessuata: anche con l’aiuto delle tecniche di riproduzione assistita, che rendono in teoria possibile unire a piacimento i genomi delle cellule sessuali, non si riescono a ottenere embrioni vitali utilizzando DNA solo maschili o solo femminile. Gli scienziati ritengono che la ragione principale sia un fenomeno che prende il nome di imprinting genomico.
Normalmente, tutti abbiamo nel genoma due copie dello stesso gene, uno di provenienza paterna e uno di provenienza materna, entrambi attivi e funzionanti. Ma per un centinaio di geni succede che, nel processo con cui le cellule staminali si differenziano in ovociti e spermatozoi, alcuni rimangono attivi solo nelle cellule maschili e vengono disattivati in quelli femminili; per altri, accade l’opposto.
Un esempio si può fare per il gene IGF2, cruciale per la crescita e lo sviluppo: normalmente solo la copia di origine paterna è attiva, per cui un embrione generato solo con DNA di origine materna non si svilupperebbe normalmente.
Come hanno fatto. Il gruppo di ricercatori dell’Accademia Cinese delle Scienze ha agito proprio su questo meccanismo, che da tempo vari gruppi cercano di manipolare per comprenderlo meglio.
Già nel 2004 un team di ricercatori giapponesi era riuscito a far nascere topi con due madri, ma il compito si era rivelato davvero arduo: erano serviti 400 embrioni per far nascere 10 topolini, e solo uno di questi era vissuto fino all’età adulta. I ricercatori cinesi, che hanno a loro volta alle spalle una storia di tentativi nel settore, sono partiti questa volta da cellule staminali embrionali con DNA femminile. Cellule aploidi, cioè con un solo set di cromosomi (che normalmente al momento della fecondazione si unisce con il set proveniente dall’altro genitore per formare un embrione con il corredo cromosomico completo), che però a differenza delle normali cellule sessuali femminili non avevano geni silenziati dall’imprinting. In queste cellule staminali, infatti, tre regioni di DNA soggette all’imprinting erano state rimosse con la tecnica di “taglia e cuci” del genoma chiamata CRISPR. Gli scienziati hanno poi iniettato queste cellule nell’ovocita di un’altra femmina di topo, simulando il processo di fecondazione.
Topolini con due mamme. Dai 210 embrioni creati in questo modo, sono nati 29 topolini (un tasso di successo del 14 per cento), che si sono sviluppati normalmente, apparentemente senza anomalie o problemi, e si sono anche riprodotti. Cancellando le regioni in cui normalmente avviene l’imprinting genetico, i ricercatori hanno in pratica indotto i geni della femmina di topo a comportarsi come se provenissero da un maschio.
Ottenere però lo stesso con due genitori maschi si è rivelato molto più difficile. In questo caso i ricercatori hanno ripetuto il processo, partendo però da cellule staminali embrionali di un maschio, rimuovendo sette regioni deputate all’imprinting, e infine iniettando questa cellula manipolata e lo spermatozoo di un topo normale all’interno di una cellula uovo privata del suo patrimonio genetico. E infine trasferendo gli embrioni così ottenuti nell’utero di una madre surrogata. In questo caso, c’è da dire che anche se il materiale genetico era tutto di provenienza maschile, l’utilizzo della femmina è stato indispensabile per lo sviluppo e la gestazione. Anche così, però, il complicatissimo processo ha funzionato poco: su 477 embrioni ottenuti con materiale genetico di due padri, sono nati 12 topolini, tutti morti a poca distanza dalla nascita.
A che cosa mirano queste ricerche? Non certo a pensare di riprodurre esperimenti del genere negli esseri umani, passo che sarebbe oggi impensabile da un punto di vista scientifico ancora prima che etico. Lo studio ha innanzitutto fornito ulteriori conferme che l’imprinting è il meccanismo cruciale che impedisce ai mammiferi di dar vita a prole sana senza genitori di sesso diverso.
Una barriera biologica che per i ricercatori vale la pena studiare e comprendere meglio.