Un comitato di scienziati indipendenti consultato dalla Food and Drug Administration (FDA) statunitense ha affermato all'unanimità che i benefici del donanemab, il più recente farmaco sperimentale contro la malattia di Alzheimer, superano i rischi che la sua somministrazione comporta.
Proprio perché l'Alzheimer è così diffuso, e per il fatto che non esiste una cura per questa forma di demenza, ogni rallentamento, anche modesto, della progressione del declino cognitivo conta, ha concluso il panel di esperti. Rimandando la "palla" della decisione finale che potrebbe portare il donanemab nelle cliniche alla FDA, chiamata a deliberare entro fine anno.
La terapia. Il donanemab è un anticorpo monoclonale (ossia un anticorpo modificato ottenuto in laboratorio) prodotto dalla compagnia farmaceutica statunitense Eli Lilly che prende di mira i depositi di proteina beta-amiloide, un prodotto di scarto che si appiccica ai neuroni nel cervello delle persone con Alzheimer. In un trial di 76 settimane, 1.736 pazienti nelle prime fasi della malattia, con declino cognitivo lieve, hanno assunto il donanemab per infusione oppure un placebo; le loro performance cognitive sono state valutate periodicamente con batterie di test.
Declino rallentato. La malattia non si è fermata, ma il declino delle funzioni cognitive è proseguito più lentamente nelle persone che avevano ricevuto il farmaco, che hanno impiegato un tempo compreso tra 4 mesi e mezzo e 7 mesi e mezzo in più ad avere lo stesso danno cognitivo emerso in chi aveva assunto un placebo. Quasi la metà dei pazienti sotto donanemab era rimasto allo stesso livello cognitivo a un anno dall'inizio dello studio, rispetto al 29% di coloro che avevano ricevuto un placebo.
Rischi importanti. Anche questo farmaco, come gli altri due medicinali contro l'amiloide approvati di recente negli USA (il lecanemab e l'aducanumab, quest'ultimo poi ritirato per prove insufficienti sui benefici) comporta effetti collaterali potenzialmente gravi, come il rischio di edema (gonfiore) e sanguinamento cerebrale. Tre dei pazienti trattati sono deceduti per cause di questo tipo, attribuibili all'assunzione del farmaco. Eli Lilly ha stabilito che le sommistrazioni debbano essere interrotte non appena le scansioni cerebrali mostrano che il farmaco ha ridotto al massimo le placche amiloidi, una decisione che farebbe risparmiare sulle costose infusioni e che ridurrebbe i rischi di effetti avversi.
Grovigli di tau. Rispetto ai farmaci di questo tipo in precedenza approvati, il donanemab è pensato per pazienti con Alzheimer che abbiano accumuli non solo di amiloide, ma anche di proteina tau, che nella versione malfunzionante forma grovigli neurotossici, presenti nel cervello dopo la comparsa delle placche amiloidi.
Il farmaco dà maggiori benefici nei pazienti con livelli lievi o moderati di tau, ma poiché i test per valutare la concentrazione di questa proteina sono ancora complessi e privi di parametri standard, è stato deciso che non vale la pena analizzare la quantità di tau prima di decidere se iniziare o meno la terapia.
Domande aperte. Rimangono ancora molte incertezze, come quelle sulla durata del trattamento, o sulla necessità o meno di monitorare i pazienti anche dopo la fine della somministrazione del farmaco, per osservare eventuali nuovi accumuli di amiloide; o, ancora, sul fatto che il 90% dei pazienti arruolati per il trial sia di origine caucasica e dunque poco rappresentativa della realtà della malattia.
Alcuni esperti di Alzheimer sottolineano che i benefici potrebbero essere tanto modesti da risultare difficili da notare, e che il trattamento potrebbe essere semplicemente un ponte, un passaggio in attesa di cure realmente efficaci (e sicure). Ma nel frattempo, la possibilità di qualche mese in più "rubato" al declino cognitivo potrebbe rappresentare una piccola speranza in più, per i pazienti e i loro familiari.