Salute

La FDA ha approvato il primo farmaco che rimanda l'insorgere del diabete

Via libera negli Usa a un anticorpo monoclonale che posticipa di alcuni anni l'insorgere del diabete di tipo 1 nei giovani destinati a svilupparlo.

La Food and Drug Administration, l'agenzia federale che vigila sulla sicurezza dei farmaci negli Usa, ha approvato il primo medicinale capace di posporre di alcuni anni la comparsa dei sintomi del diabete di tipo 1, la forma "giovanile" della malattia.

Il teplizumab, che dovrebbe essere disponibile negli Stati Uniti entro fine anno, non cura il diabete ma ne rallenta la progressione, offrendo ai pazienti destinati a svilupparlo alcuni di libertà extra prima che la ruotine di monitoraggio del glucosio e gestione dell'insulina divenga una necessità.

Una forma autoimmune. Il diabete di tipo 1 colpisce il 10% circa dei pazienti affetti da diabete e insorge in genere nei bambini, negli adolescenti e nei giovani adulti con meno di 40 anni. Si manifesta inizialmente con una vistosa perdita di peso accompagnata da spossatezza, una sete inestinguibile e una continua necessità di urinare, e dipende da un attacco autoimmune al pancreas, l'organo responsabile della produzione di insulina.

La "benzina" delle cellule del corpo umano è il glucosio e l'ormone insulina è la chiave per far entrare il glucosio nelle cellule. Nei pazienti con diabete di tipo 1, il sistema immunitario prende di mira per errore le cellule beta del pancreas incaricate di secernerla. Il pancreas smette allora di produrre insulina e il corpo non è più in grado di regolare gli zuccheri nel sangue.

Come funziona. Il teplizumab (il cui nome commerciale è Tzield) è un anticorpo monoclonale, ossia un anticorpo modificato ottenuto in laboratorio, che si lega a una molecola presente sulla superficie delle cellule T, i globuli bianchi responsabili dell'auto-sabotaggio delle cellule beta nei pazienti con diabete di tipo 1. La molecola presa di mira di norma attiva le cellule T: agganciandola, il farmaco evita per un po' la loro risposta autoimmune contro il pancreas.

Quanto dura l'effetto? Anche se il farmaco è sotto sperimentazione da decenni, il sì dell'FDA è arrivato dopo che uno studio su 76 pazienti con diabete di tipo 1 ne ha dimostrato sicurezza ed efficacia. I volontari si trovavano nella fase presintomatica della malattia ma ne mostravano i campanelli d'allarme, cioè la presenza di autoanticorpi e un metabolismo anomalo del glucosio.

Metà dei pazienti ha ricevuto il farmaco e metà un placebo, e tutti sono stati seguiti per 51 mesi. Nel primo gruppo ha sviluppato i sintomi del diabete il 44% dei pazienti contro il 72% del secondo gruppo. Nelle persone trattate con il farmaco che hanno manifestato il diabete in questo arco di tempo, l'insorgere della malattia sintomatica è avvenuto in media un paio di anni dopo rispetto agli altri.

Non per tutti. Difficile immaginare per ora una distribuzione su larga scala. Il trattamento deve essere somministrato per infusione intravenosa, cioè con la flebo, una volta al giorno per 14 giorni. Secondo il New York Times il farmaco, prodotto dalla Provention Bio, costerebbe 13.850 dollari a fiala (circa 13.500 euro) o 193.900 (189.000 euro circa) per un trattamento completo: una cifra che potrebbe essere coperta da assicurazioni o sistemi sanitari ma comunque considerevole.

A chi si rivolge? La principale difficoltà sarà reclutare i pazienti che ne possano beneficiare, prima che sviluppino i sintomi del diabete. Anche se l'esordio della malattia è in genere improvviso e spesso avviene in adolescenza, gli autoanticorpi che indicano un attacco al pancreas sono spesso presenti già a 5 o 6 anni di età.

Gli screening precoci per il diabete non sono però ancora diffusi, e testando soltanto chi ha familiari stretti con la stessa malattia si mancherebbero comunque l'85% delle diagnosi. Le associazioni dei pazienti con diabete di tipo 1 negli USA vorrebbero che lo screening per il diabete giovanile diventasse parte della routine di cura in età pediatrica.

A che serve? Ci si potrebbe chiedere perché intervenire, se comunque il farmaco non può impedire che si sviluppi il diabete: secondo gli autori dello studio che ha portato all'approvazione, apparso nel 2019 sul prestigioso New England Journal of Medicine, il farmaco serve per guadagnare tempo utile a prepararsi, a crescere ancora un po' e a conoscere la malattia, ma anche per ottenere qualche anno in più senza gli sbalzi glicemici che possono portare a complicanze anche gravi.

24 novembre 2022 Elisabetta Intini
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