Roma, 13 nov. (AdnKronos Salute) - Non sempre seguono la terapia alla lettera, lamentano di assumere troppe compresse e vorrebbero poterne prendere meno e avere meno effetti collaterali. Si fidano ancora poco dei farmaci equivalenti e sui medicinali biologici e biosimilari hanno ancora incertezze e confusione. Ad analizzare il rapporto tra pillole e pazienti con malattie croniche è l''Indagine civica sull'esperienza dei pazienti rispetto all'uso dei farmaci, con focus su biologici e biosimilari', presentata oggi da Cittadinanzattiva attraverso il Coordinamento nazionale delle Associazioni dei malati cronici (Cnamc).
La ricerca, condotta fra agosto e ottobre 2014, ha coinvolto 619 pazienti con patologie croniche, in prevalenza malattia di Crohn e colite ulcerosa (47,5%), malattie renali (18,5%), ipertensione (15,2%), malattie autoimmunitarie e reumatologiche (13,2%), psoriasi (10,6%), tumori (10,5%).
Oltre la metà degli intervistati assume dai 2 ai 3 farmaci al giorno (24,8 e 28,9%), il 10,5% anche più di 4. Tante medicine da mandare giù. Così all'incirca un paziente su 5 dimentica la terapia, uno su 7 sbaglia il dosaggio del farmaco. Il 22% dichiara di essere stato costretto a interrompere la cura, per una media di 12 giorni, nella maggior parte dei casi per una reazione allergica (22,6%) o perché risultata inefficace (20,4%), ma anche per i costi a proprio carico (16,4%) o perché il farmaco non era disponibile in farmacia (14,5%).
Accade anche - secondo l'indagine di Cittadinanzattiva - che il 10,8% di pazienti con malattie croniche decide volontariamente di sospendere o non intraprendere la terapia prescritta: lo fa principalmente per scetticismo (56,5%), nel senso che la cura non dà i risultati sperati o mostra più effetti collaterali che benefici, o perché risulta difficile da seguire per le troppe somministrazioni (13%), o ancora perché si tratta di terapie da seguire tutta la vita e che quindi scoraggiano il paziente (11,6%).
In altri casi la decisione di sospendere la terapia - sottolinea l'associazione - dipende da una cattiva comunicazione tra medico e pazienti. Per il 32,2% degli intervistati, infatti, le informazioni fornite dal camice bianco non erano state sufficientemente chiare. Oppure, in molti casi (12,9%) capita che lo specialista prescrive il farmaco su ricetta bianca, ma una volta che il paziente ne chiede la trascrizione su ricetta rossa il medico di famiglia si rifiuta.
Per chi si sposta fuori dalla propria regione per curarsi, sono diversi i problemi da affrontare: acquistare il farmaco di tasca propria (46,6%), non sapere a chi rivolgersi per proseguire la terapia (17,7%), ricevere un secco no anche davanti ad una regolare prescrizione (15,5%). Infine, i pazienti si dimostrano molto responsabili riguardo alla necessità di comunicare tempestivamente eventuali reazioni avverse ai farmaci.
Lo ha fatto almeno una volta il 50% degli intervistati, comunicandolo prevalentemente al medico di famiglia (52,7%) o allo specialista (52%).