Rimini, 9 mag. (AdnKronos Salute) - Rallentare la progressione dell'aterosclerosi nei malati di diabete di tipo 2. E al contempo alleggerire l'impatto della patologia sulle casse del Servizio sanitario nazionale, attraverso una maggiore aderenza terapeutica, una possibile riduzione del rischio di mortalità rispetto a medicinali meno recenti e un aumento degli anni guadagnati dal paziente grazie al trattamento, corretti per la qualità della vita. Sono le promesse degli antidiabetici inibitori dell'enzima Dpp-4, farmaci protagonisti di un evento promosso da Msd e Sigma-tau a Rimini, nell'ambito del 26esimo Congresso nazionale della Società italiana di diabetologia (Sid). Al centro del dibattito il sitagliptin, il più studiato all'interno della famiglia di ipoglicemizzanti orali alla quale appartiene.
"Stiamo vivendo un periodo di scarse risorse economiche, una situazione oggettivamente difficile anche dal punto di vista dei fondi destinati alla sanità", spiega Riccardo Bonadonna, Dipartimento di Medicina clinica e sperimentale dell'università e dell'azienda ospedaliero-universitaria di Parma. "Si pensi solo - osserva l'esperto - che l'andamento del Pil italiano dal 1990 al 2013, rispetto al trend registrato nelle nazioni con cui ci confrontiamo, mostra che il nostro Paese sconta oggi un gap negativo per almeno 10 mila euro a testa. Una riduzione di circa il 25% delle risorse disponibili", da cui deriva l'importanza di ottimizzarne al meglio l'impiego, scegliendo cure efficaci e vantaggiose sia per il paziente sia per il sistema.
Come? Uno dei parametri chiave è l'aderenza del paziente al trattamento prescritto, perché "maggiore è l'aderenza terapeutica - ricorda Bonadonna - maggiore è l'efficacia della cura, minori sono i ricoveri in ospedale e inferiori sono i costi sanitari. Per il diabete è stato calcolato che, per centrare gli obiettivi clinici ed economici, il parametro amministrativo che esprime l'aderenza terapeutica (Pdc) deve superare l'80%. E gli studi hanno dimostrato che con sitagliptin la percentuale di pazienti sopra questa soglia è più alta". Il tutto a fronte di "un profilo di sicurezza certificato" dalle evidenze scientifiche.
Non solo. Lo specialista invita anche a considerare che "il diabete incide pesantemente sui cosiddetti Daly, cioè la somma degli anni persi per morte prematura e di quelli trascorsi con una cattiva qualità della vita. Viceversa, una cura efficace restituisce Qaly, ossia anni in più vissuti in buona salute". Ovviamente però ha dei costi, quindi in economia si adotta un parametro detto Icer per valutare se spendere in una determinata terapia vale davvero la pena.
"L'Icer esprime i costi di 1 Qaly guadagnato usando un dato trattamento: se è sotto i 25 mila euro, si ritiene che quel trattamento conviene.
Le ricerche - prosegue Bonadonna - indicano che i Dpp4-inibitori restano sotto questa soglia in molti Paesi europei". Infine, al di là dei costi superiori, per l'esperto è necessario ricordare che "questi farmaci, in associazione con metformina, in studi hanno mostrato di poter ridurre significativamente il rischio di mortalità rispetto alla combinazione metformina-sulfaniluree".
Sitagliptin e 'parenti', però, entrano nel mirino della ricerca medica anche per i loro effetti sull'aterosclerosi. "Una condizione particolarmente insidiosa per i pazienti diabetici - avverte Massimo Federici, università di Roma Tor Vergata, Centro aterosclerosi policlinico Tor Vergata - perché all'infiammazione che la caratterizza si aggiungono alterazioni tissutali degenerative" come ulteriore complicazione e fattore di rischio. Gli inibitori della Dpp-4 e in particolare sitagliptin, oltre a ridurre la glicemia, "hanno un ruolo sicuro nella terapia dell'aterosclerosi in presenza di diabete - riferisce l'esperto - perché regolano la produzione di diverse molecole collegate al processo antinfiammatorio. Inoltre, degradano una sostanza che impedisce il richiamo di cellule progenitrici endoteliali". Il risultato è dunque quello di attirarle in loco, 'ringiovanendo' la parete che riveste internamente i vasi.
"Gli studi condotti su topi modello di aterosclerosi - riporta Federici - mostrano che sitagliptin migliora il rimodellamento della placca aterosclerotica, riduce il contenuto infiammatorio della placca stessa e ne aumenta la stabilità e l'elasticità", elementi che allontanano il rischio di rottura.
E nell'uomo? "Le ricerche indicano che sitagliptin migliora la funzione endoteliale, probabilmente proprio grazie alla sua capacità di captare cellule progenitrici che rendono l'endotelio più giovane e sano. Inoltre sono emersi effetti sul profilo lipidico: il trattamento con il farmaco rallenta l'aumento dello spessore medio intimale carotideo", un parametro chiave nella valutazione dell'aterosclerosi. In definitiva, riassume lo specialista, "dagli studi preclinici e clinici risulta che sitagliptin rallenta la progressione della placca aterosclerotica".
Infine, dal trial 'Tecos' sono emersi dati ritenuti interessanti dall'esperto su un possibile effetto-scudo contro gli eventi cardiovascolari, "in sottogruppi di pazienti diabetici particolarmente esposti ad attacchi come gli obesi e gli anziani over 75". Uno dei dati più significativi riguarda "l'azione sullo spessore del grasso epicardico, un tessuto insidioso perché si scambia fattori negativi con le coronarie. Nei pazienti più a rischio - conclude - sitagliptin riduce questo parametro correlato a una maggiore probabilità di eventi cardiovascolari".