Milano, 3 mag. (AdnKronos Salute) - Per alcuni è una compagna di vita che li affianca da anni. In un primo momento passa inosservata, poi diventa sempre più invadente, fino a lasciare letteralmente senza fiato. E' la Bpco, broncopneumopatia cronica ostruttiva, che ruba il respiro di 2,6 milioni di italiani. Anche di più, se si considera chi ne soffre ma è ancora orfano di diagnosi. Un nemico che può colpire duro, e trova il fumo di sigaretta fra i suoi primi alleati. Per una fetta di questo esercito di 'affannati' - in genere over 65, con una lunga storia di malattia (che è sfuggita di mano) e, in certi casi, altre patologie con cui convivere - anche fare pochi passi in casa diventa un'impresa.
Per loro "i sintomi di ostruzione bronchiale e infiammazione, dalla tosse alla dispnea, sono costanti a prescindere dalla terapia che si sta seguendo, le riacutizzazioni frequenti e il ricovero in ospedale un destino spesso dietro l'angolo", spiega Antonio Spanevello, primario dell'Unità operativa di Pneumologia riabilitativa all'Istituto scientifico di Tradate (Fondazione Maugeri), oggi durante un incontro a Milano. Per questi pazienti più gravi, che uno studio stima possano essere il 41% degli italiani con Bpco, oggi c'è un'opportunità terapeutica in più. Una 'triplice terapia' - la prima studiata ad hoc in clinica - che mette sotto attacco il problema da più fronti, sfruttando tre diversi meccanismi d'azione con un antinfiammatorio e due broncodilatatori.
Si tratta dell'associazione tra umeclidinio, antagonista muscarinico a lunga durata d'azione (Lama), che si somministra con un device, e fluticasione furoato e vilanterolo (rispettivamente un Ics, corticosteroide inalatorio, e un Laba, beta-2 agonista a lunga durata d'azione) che si somministrano con un altro device. Una tripla arma da 'sfoderare' una sola volta al giorno. La triplice terapia, targata Gsk, "è stata studiata per essere sicura per i pazienti e garantire una copertura di 24 ore", afferma Andrea Rizzi, direttore medico Area respiratoria GlaxoSmithKline Italia. E se al momento viene proposta divisa in due erogatori uguali, "nel giro di un anno e mezzo ce ne sarà soltanto uno, con l'arrivo della triplice terapia 'chiusa'. Il device è semplice e intuitivo: apri, inala e chiudi. E abbiamo appurato che, alla sola lettura del foglietto illustrativo, 99 pazienti su 100 lo usano correttamente".
Non basta infatti avere armi 'personalizzate' per pazienti in condizioni severe, se poi come spesso succede l'aderenza alle cure prescritte resta scarsa. L'obiettivo a cui puntano i medici che a più livelli si occupano di malati di Bpco è proprio questo: incidere sul quadro tracciato dalle statistiche più recenti, in base alle quali le terapie vengono assunte regolarmente solo da una persona su due e per non più di tre mesi all'anno, con una situazione ancora peggiore fra gli ultrasessantacinquenni.
"Il medico di famiglia può giocare un ruolo strategico - sottolinea Gabriella Levato di Fimmg (Federazione italiana medici di medicina generale) Lombardia - perché segue nel tempo il paziente, conosce tutte le sue patologie e non solo la Bpco. Oggi strumenti moderni come software gestionali di studio ci dicono se un paziente non prende da tanto tempo un farmaco, e nell'armamentario terapeutico disponibile si può scegliere la soluzione più adatta alle caratteristiche e alle capacità di quella specifica persona".
Per Gioacchino Nicolosi, vice presidente vicario di Federfarma, "anche il farmacista può fare la sua parte, captando eventuali difficoltà del paziente, spiegando i device, aspetto per il quale ci vengono in aiuto anche programmi ad hoc per far visualizzare il funzionamento su uno schermo. Serve gioco di squadra con i professionisti coinvolti nella cura del paziente".
E se è vero che il ritorno in ospedale per una riacutizzazione della Bpco "è da considerarsi un fallimento del sistema di gestione del malato in generale, d'altro canto può costituire un momento di start up, di efficienza e sostenibilità. Un'opportunità", fa notare Marco Candela, direttore del Dipartimento di medicina dell'ospedale di Fabriano (Ancona).
"Questo - aggiunge l'esperto - avviene favorendo non solo la prescrizione del farmaco giusto al paziente giusto, ma anche altre misure fondamentali: la ginnastica respiratoria, l'attività fisica, un self management strutturato, la profilassi vaccinale e così via. Tutto questo può essere condensato in una scheda di dimissione strutturata sulla Bpco che sia il miglior passaggio di testimone al medico di medicina generale", che potrà continuare a gestire il paziente sul territorio avendo a disposizione tutte le informazioni su quanto avvenuto 'in corsia'.
In questo quadro, conclude Spanevello, "una terapia farmacologica come la triplice terapia deve essere la base per prendere il paziente severo, un paziente che è ormai immobile per la mancanza di respiro, e renderlo capace di tornare a uno stile di vita sano che includa come momento fondamentale proprio l'attività fisica, fattore in grado di migliorare persino la sopravvivenza. Uno studio ha mostrato che, dopo 10 anni di Bpco, la muscolatura del quadricipite è nettamente inferiore rispetto a quella di una persona normale. Ecco, noi vogliamo far capire ai pazienti che non sono condannati a una vita fatta di cruciverba e immobilità. Con la terapia giusta, devono tornare a muoversi. Altrimenti, qualunque sforzo non sarà servito a niente".