Milano, 5 mar. (AdnKronos Salute) - Si ammalano meno grazie allo 'scudo' degli ormoni, però stanno peggio. Il Parkinson preferisce gli uomini (più numerosi del 50% fra i circa 300 mila pazienti italiani), ma discrimina le donne: sono tre volte più esposte ai movimenti involontari causati come effetto indesiderato dalla levodopa, il farmaco usato per controllare i tremori tipici della patologia; rispetto ai maschi malati, più compromessi nelle capacità di comprensione e di ragionamento, le donne cadono più spesso vittima di ansia e depressione, e sono sempre loro a subire le maggiori ricadute sociali della malattia. Colpite due volte, sul lavoro e in famiglia.
Alle differenze tra 'Venere' e 'Marte' alle prese con il Parkinson, l'Istituto neurologico Besta di Milano e la Regione Lombardia dedicano oggi il convegno 'Tutta cuore e cervello-Parkinson: le donne non tremano'. L'appuntamento, organizzato in vista dell'8 marzo, è il sesto di un ciclo di incontri promossi dal Besta attraverso il Comitato unico di garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni (Cug), attivo dal 2009 con azioni formative sulla medicina di genere.
"La maggiore frequenza degli effetti collaterali dei farmaci - spiega Barbarda Garavaglia, che al Besta è responsabile del Cug e direttore dell'Unità di neurogenetica molecolare - è una conseguenza del limitato numero di donne coinvolte nella sperimentazione clinica delle nuove terapie, che porta a non conoscere tutte le conseguenze dell'uso dei farmaci in entrambi i sessi. Le terapie agiscono in maniera diversa sulle donne perché hanno un peso corporeo inferiore, e quindi nel loro organismo i principi attivi sono più concentrati e hanno effetti superiori, talvolta indesiderati".
Fra donne e uomini c'è differenza anche nell'età in cui compare il Parkinson, con un esordio che nel 'gentil sesso' è ritardato in media di circa 2 anni (68 anni contro i 66 dei maschi). "La maggiore resistenza del genere femminile - evidenziano gli esperti - è dovuta alla funzione protettiva che gli estrogeni esercitano contro l'insorgenza e la progressione della malattia. Questi ormoni prevengono infatti la distruzione dei neuroni produttori di dopamina, il principale bersaglio delle neurotossine che causano la malattia. Si stima che una maggiore esposizione agli estrogeni, sia naturali che assunti attraverso terapie ormonali, riduca il rischio di Parkinson di circa il 43%".
In termini di durata media della malattia, donne e uomini hanno 'pari opportunità': circa 10 anni. Il dato positivo per l'universo rosa riguarda invece il trattamento con la stimolazione cerebrale profonda, il cosidetto 'pacemaker' che utilizza piccoli elettrodi per ridurre il tremore è più efficace nelle donne: ha una maggiore efficacia nelle pazienti femmine e porta a un miglioramento delle capacità nelle azioni quotidiane.