Salute

Embrioni modificati con la CRISPR: uno scienziato russo vuole riprovarci

Il biologo Denis Rebrikov ha raccontato a Nature di voler seguire la strada del contestato studio cinese: il gene alterato sarebbe lo stesso, ma per la gravidanza sceglierebbe donne sieropositive.

L'esperimento di editing degli embrioni dello scienziato cinese He Jiankui, risultato nel parto di due gemelline dal DNA modificato, ha provocato un'ondata di critiche da parte della comunità scientifica internazionale. In molti hanno sottolineato la necessità di una moratoria internazionale su tali studi finché non ne siano chiari i limiti etici e le implicazioni scientifiche, mentre si rincorrono le ricerche sulla possibilità che la tecnica di gene-editing abbia ricadute impreviste sulla salute delle bambine, fino a ridurne l'aspettativa di vita.

Uno contro tutti. Tutto questo non ha impedito a un altro scienziato, il biologo molecolare russo Denis Rebrikov, di dichiarare a Nature di essere intenzionato a compiere un altro esperimento di CRISPR sugli embrioni, sulla scia di quello cinese - possibilmente entro fine anno, se dovesse ottenere il via libera a procedere. La modifica riguarderebbe lo stesso gene, il CCR5, ma con rischi minori, stando a Rebrikov, con maggiori benefici e pertanto entro limiti etici più facilmente accettabili.

Esposti al contagio (di proposito). La differenza principale starebbe nella scelta delle donne che portino avanti la gravidanza: il biologo, che dirige un laboratorio di editing genetico presso una clinica per la fertilità di Mosca (il Kulakov National Medical Research Center for Obstetrics, Gynecology and Perinatology) vorrebbe pazienti sieropositive, per capire se la modifica del gene CCR5 può ridurre le possibilità di trasmissione del virus dell'HIV nell'utero e durante il parto.

Il gene preso di mira codifica infatti per un recettore sulla superficie delle cellule immunitarie che un comune ceppo di virus dell'HIV usa come via preferenziale per infettare le cellule. Neutralizzando questo "cancello", che in alcune persone è, dalla nascita, naturalmente inattivo, si può forse sbarrare la strada al 90% delle infezioni da HIV. Ma non si escludono tutte le possibili modalità di contagio, senza contare che fortunatamente esistono comportamenti più sicuri e immediati per evitare la trasmissione del virus (anche dalla madre al nascituro).

He Jiankui aveva utilizzato, per gli embrioni, spermatozoi di padri sieropositivi, ma le possibilità di trasmissione dell'HIV da padre a nascituro sono minime.

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Editing dell'embrione: le ricerche (e il dibattito) proseguono © Marcos__Silva / Shutterstock

Rischi maggiori dei benefici. Recentemente, una commissione di esperti di bioetica consultata dall'OMS ha stabilito che sarebbe per chiunque irresponsabile, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, apportare modifiche sulla linea germinale umana, cioè intervenire su embrioni, cellule uovo o spermatozoi, con il rischio che queste alterazioni si trasmettano alle generazioni successive.

Sussiste un rischio molto elevato di mutazioni indesiderate, senza contare che un singolo gene può avere compiti diversi e non sempre noti: intervenire sul CCR5 potrebbe ridurre l'aspettativa di vita dei nascituri, comprometterne in altri modi il sistema immunitario o potenziarne le facoltà cognitive.

Rebrikov ha scritto, su una rivista di cui egli stesso è editore responsabile, di aver messo a punto una tecnica di gene editing che altera entrambe le copie del CCR5 in oltre il 50% dei casi. Ma se anche la modifica funzionasse su entrambe le copie, rimarrebbe un rischio non trascurabile di esporre i feti al contagio dell'HIV, avendo volontariamente escluso altre forme di protezione: limiti etici che paiono difficilmente accettabili.

Che cosa dice la legge. In Russia, l'editing genetico è proibito in molte circostanze, ma non è chiaro quali siano i limiti in caso di editing dell'embrione, di cui non si parla neanche nei riferimenti legislativi che regolano la riproduzione assistita. Rebrikov ha fatto sapere che attenderà, per procedere, il parere favorevole di tre agenzie governative del suo Paese (incluso il Ministero della Salute): una decisione che potrebbe richiedere da un mese a due anni. Non è detto che il biologo abbia tanta pazienza: ha spiegato di avvertire "un senso di urgenza" verso le donne sieropositive che vogliano iniziare una gravidanza... ma potrebbe anche non voler "bruciare" un vantaggio che forse pensa di avere su altri ricercatori.

24 giugno 2019 Elisabetta Intini
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