Una pillola di zucchero può far guarire quanto una medicina vera: è l’effetto placebo, ed è ben noto a medici e ricercatori. Da decenni, ormai, l’efficacia di un farmaco viene confrontata nelle sperimentazioni cliniche con quella di una pillola finta, per vedere se davvero funziona o se si tratta semplicemente dell'effetto – per niente trascurabile – attribuibile al placebo. Soprattutto in disturbi che hanno una forte componente psicologica, dal mal di testa alla depressione, dalla sindrome del colon irritabile al dolore, si sa che una finta medicina può funzionare molto bene per alcune persone e niente o quasi per altre.
Placeboma, chi era costui? Una nuova analisi sostiene che l’effetto placebo potrebbe essere più o meno potente su ciascuno di noi a seconda delle caratteristiche genetiche. Nella revisione pubblicata sulla rivista Trends in molecular medicine un gruppo di ricercatori ha analizza le conoscenze attuali in materia di radici genetiche dell’effetto placebo e identificato, sulla base degli studi pubblicati, undici geni che avrebbero un’influenza diretta su quanto rispondiamo a una pillola finta.
«La comprensione del ‘placeboma’ – l’insieme dei geni collegati alle risposte al placebo – apre nuove possibilità per migliorare le reazioni dei pazienti ai trattamenti clinici e farmaceutici e per sviluppare progetti di ricerca sull’analisi delle differenze farmaco-placebo» ha detto Kathryn Hall, della Harvard Medical School, autore dello studio.
Quello che si sa. Alcune ricerche hanno identificato dei tratti caratteriali che sembrano collegati al fatto di essere un buon "risponditore" al placebo, come l’essere socievoli, estroversi, mentre studi di neuroimmagine hanno identificato le aree del cervello più attive nelle persone in cui l'effetto è più pronunciato.
Studi precedenti hanno anche stabilito che certi sistemi di neurotrasmettitori nel cervello, specialmente quello della dopamina, della serotonina e degli endocannabinoidi, fanno da mediatori biochimici importanti. L'analisi dei ricercatori di Harvard ha esaminato gli studi disponibili su come le variazioni genetiche che influiscono su questi sistemi possano modificare anche la risposta al placebo, identificando undici geni che in maniera più probabile hanno a che fare con i “miglioramenti” alla somministrazione della famosa pillola di zucchero. Per esempio, possedere due copie di una particolare mutazione del gene che codifica per la molecola che scinde il neurotrasmettitore dopamina renderebbe più suscettibili all’effetto placebo.
Cure vere e finte. Resta il problema, una volta accertate, del che cosa fare di queste conoscenze. Gli autori dello studio suggeriscono che, sulla base delle informazioni genetiche, sarebbe possibile selezionare i pazienti arruolati negli studi clinici in modo da escludere quelli su cui la pillola finta ha un forte effetto, oppure fare in modo distribuirli in entrambi i bracci della sperimentazione di un farmaco.
In teoria, in futuro, sarebbe possibile mirare meglio le cure per ciascun paziente in base al suo profilo genetico di buon o cattivo “risponditore” al placebo. O sfruttare meglio la componente "placebo" in alcuni tipi di medicine alternative, come l'omeopatia.
A buon risponditor ... Questo naturalmente solleva anche altre questioni: sapere di essere un buon risponditore al placebo influenza la risposta? E in questo caso: come si fa? Si dà al paziente una pillola finta senza che lui lo sappia o si rischia di annullare l’effetto dicendogli che non sta prendendo niente? Una soluzione potrebbe essere, come suggerisce la stessa autrice dello studio, che i medici imparino a formulare in maniera un po’ diversa quello che dicono ai pazienti. Una frase tipo potrebbe essere: “le prescriverò un prodotto che ha molto poco ingrediente attivo ma che dovrebbe farle bene lo stesso”. C’è chi probabilmente sarà contento così; chi penserà: tanto vale allora non prendere niente; e chi ribatterà: mi dia un farmaco vero, non credo ai miracoli. Sarà interessante capire il profilo genetico di ciascuno.