Salute

Editing genetico: la prima volta all'interno del corpo di un paziente

Una tecnica di correzione del DNA è stata tentata per la prima volta su di un uomo affetto da una rara malattia metabolica: tra tre mesi i risultati di una sperimentazione rivoluzionaria, non priva di rischi.

In un ambizioso tentativo di cura di una rara malattia genetica, un gruppo di scienziati ha provato per la prima volta a modificare i geni di un paziente intervenendo direttamente nel suo corpo, per alterare il DNA in modo permanente.

Lunedì 13 novembre Brian Madeux, 44 anni, ha ricevuto miliardi di copie di un gene correttivo insieme ai "bisturi molecolari" necessari a inserirle nel suo genoma: il tutto, con un'infusione per endovena durata 3 ore.

L'uomo è affetto da Sindrome di Hunter, una rara malattia metabolica del gruppo delle mucopolisaccaridosi, causata dalla mancanza di un gene che codifica per un enzima essenziale per demolire certi tipi di carboidrati. Questi finiscono per accumularsi nelle cellule e causare danni estesi che comprendono frequenti infezioni respiratorie e alle orecchie, problemi cardiaci e danni cognitivi, alterazione dei connotati facciali, patologie degli occhi, della pelle e dell'intestino. La malattia interessa circa 10 mila persone nel mondo, un numero relativamente basso rispetto alla popolazione globale, ma solamente perché molti dei malati muoiono prematuramente.

Bisturi. Gli scienziati hanno già più volte alterato il DNA umano, correggendolo in laboratorio per poi riconsegnarlo nel corpo dei pazienti. Altre terapie geniche non comportano l'editing del genoma. La tecnica usata in questo caso, diversa dalla più nota CRISPR-Cas9, si chiama nucleasi a dita di zinco e consente di intervenire in modo preciso nel DNA di cellule di un particolare tessuto del corpo umano: come inviare un chirurgo in miniatura direttamente sul luogo dell'operazione.

Spiega Luigi Naldini, direttore dell'Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica: «Le zinc-finger nucleasi sono proteine artificiali costruite in laboratorio con due porzioni distinte: una in grado di riconoscere e legarsi a una precisa sequenza di lettere sul Dna, l'altra di tagliare il Dna e di mettere così in moto i normali meccanismi riparativi da parte della cellula, che possono ricopiare nel sito del taglio una sequenza corretta».

La tecnica ha il vantaggio di correggere il difetto genetico direttamente nella sua sede naturale, senza "sparare nel mucchio", come si farebbe senza conoscere il punto esatto della doppia elica su cui si interviene.

curiosità sul corpo umano, siamo fatti così
Curiosità: siamo fatti così.

Dove si agisce. La terapia consiste di tre parti: il nuovo gene e due proteine zinc-finger.

Le istruzioni genetiche di ciascuna parte sono affidate a un virus (alterato per non causare infezioni) che le consegna nelle cellule del fegato del paziente. Le cellule usano le istruzioni ricevute per costruire le dita di zinco - i bisturi - e preparare il gene correttivo. A questo punto le dita tagliano il DNA nel punto esatto e permettono al gene di inserirsi. Questo dà istruzioni alla cellula per produrre l'enzima che manca al paziente.

Posta alta. Per i medici dell'Ospedale di Oakland (California) che hanno in cura il paziente, basta che solo l'1% delle cellule del fegato riceva la correzione, perché la malattia sia curata con successo: anche se ridurre i danni già inferti non è possibile, Madeux potrebbe presto dire addio alle infusioni settimanali di enzimi che gli servono per sopravvivere, che costano tra i 100 e i 400 mila dollari (fino a 340 mila euro) all'anno e che non prevengono i danni cerebrali.

Speranza. I primi segni sintomatici di miglioramento potrebbero vedersi tra un mese; i test clinici saranno effettuati tra tre mesi. Gli studi iniziali coinvolgeranno 30 adulti per testare l'efficacia della terapia e i suoi effetti collaterali: errori nella correzione del DNA potrebbero causare l'insorgenza di cancro, e il virus vettore potrebbe scatenare una reazione nel sistema immunitario. Se verrà considerato sicuro, il trattamento potrà in futuro essere indirizzato ai pazienti più giovani, prima che la malattia causi danni permanenti.

16 novembre 2017 Elisabetta Intini
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