Secondo uno studio condotto sui topi, l'MDMA meglio conosciuto come ecstasy, aprirebbe le barriere del cervello, lasciandolo più indifeso alle "invasioni".
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Pillole di ecstasy. Il danno che provocano al cervello è ormai scientificamente dimostrato. |
Benvenuto virus! Il cervello è protetto da una specie di corazza formata da pacchetti di cellule strette tra loro, chiamata barriera sangue-cervello. Tale barriera è in grado di bloccare il passaggio a tutte le molecole, tranne quelle più piccole. Un esperimento condotto sui ratti ha però dimostrato che l'ecstasy è in grado di far allargare le maglie di questo sistema di difesa, consentendo così il passaggio anche alle molecole più grandi.
L'esperimento è stato condotto facendo assumere ai ratti 4 dosi di ecstasy ogni otto ore, e iniettando poi nel loro organismo un colorante blu formato da molecole che, in circostanze normali, non sarebbero mai potute arrivare al cervello. Il giorno successivo le analisi hanno evidenziato come il colorante avesse passato senza problemi la barriera, raggiungendo zone del cervello come il nucleo caudato e l'ippocampo.
Dopo dieci settimane di assunzione di ecstasy, equivalenti a un periodo di 5-7 anni negli umani, il colorante blu riesce a passare la barriera sangue-cervello dei ratti anche senza l'ausilio di ulteriori dosi di stupefacente.
Sballo controllato. Un altro esperimento condotto sempre nei ratti presso la University of Massachusetts ha evidenziato come l'assunzione controllata di ecstasy in individui giovani possa invece ridurre i danni provocati dall'abuso della stessa sostanza una volta adulti. Jerrold Meyer e il suo team hanno fatto assumere ad animali giovanissimi sei dosi di ecstasy a cinque giorni di distanza l'una dall'altra. Dopo un periodo di disintossicazione i ratti hanno ricevuto una dose massiccia di droga nell'arco di 4 ore. I soggetti che erano stati pre-trattati con lo stupefacente non hanno mostrato i tipici segni di alterazione normalmente riscontrabili nei soggetti non pre-trattati.
Come ciò sia possibile è ancora un mistero, e non è ancora chiaro se tale meccanismo sia replicabile negli esseri umani.
Altri studi stanno invece verificando le possibilità di un utilizzo terapeutico dell'ecstasy, in caso di particolari malattie mentali e nei malati terminali di cancro.
(Notizia aggiornata al 15 novembre 2005)