Salute

Ebola, esiste una cura per l'infezione?

A due operatori sanitari statunitensi contagiati dal virus è stato somministrato un farmaco sperimentale, mai testato sull'uomo, che sembra dare buoni risultati. Ma le implicazioni etiche del trattamento destano molte critiche.

Kent Brantly e Nancy Writebol sono due delle oltre 1600 persone contagiate dal virus Ebola, ma la loro è una storia particolare: il medico e la missionaria statunitensi, infettati dal virus mentre prestavano servizio sanitario in Liberia, si stanno sottoponendo a una cura sperimentale, mai testata sull'uomo, che sembra dare risultati promettenti nella lotta alla malattia. I due operatori, che hanno ricevuto i primi trattamenti in Africa, sono ora ricoverati in isolamento presso l’Emory University Hospital di Atlanta, Georgia.

Segni inequivocabili. La loro vicenda è stata accuratamente ricostruita dalla CNN: lo scorso 22 luglio Brantly, che come la collega lavora per l'associazione umanitaria Samaritan's Purse, impegnata nell'assistenza ai malati di Ebola, si è svegliato con la febbre. Subito si è messo in autoisolamento, così come Nancy Writebol, che ha avvertito i primi sintomi del virus tre giorni dopo. In breve sono comparsi anche vomito e diarrea, e i due hanno iniziato a temere il peggio. Le dinamiche del loro contagio sono ancora da chiarire, ma si sospetta siano stati infettati da un collega malato (per saperne di più sulle dinamiche del contagio clicca qui).

Immagine al microscopio elettronico di una cellula (in giallo) infettata dal virus Ebola (in blu). | NIAID

La cura. Venute a conoscenza della loro condizione, le autorità sanitarie statunitensi hanno fatto arrivare in Liberia un farmaco sperimentale, lo ZMapp, sviluppato da una società di San Diego, la Mapp Biopharmaceutical.

Il farmaco impedisce al virus di superare le membrane cellulari e di raggiungere l'interno delle cellule: lo ferma, in sostanza, prima che possa moltiplicarsi. Si ottiene infettando alcune cavie da laboratorio con parti genetiche del virus e lavorando sugli anticorpi da esse sviluppati in risposta al contagio. In gergo medico, è definito un anticorpo monoclonale.

Leggi lo speciale di Focus sull'epidemia di Ebola. I sintomi del contagio e perché questa epidemia sembra inarrestabile

I precedenti. Il medicinale non era mai stato testato sull'uomo prima d'ora. Alcuni test sperimentali sono stati effettuati sulle scimmie. In un caso, è stato somministrato a quattro esemplari entro 24 ore dal contagio: tutti e quattro sono sopravvissuti. Ad altri quattro primati è stato somministrato a 48 ore dall'infezione: di questi, soltanto due sono sopravvissuti. Writebol e Brantly sono stati informati sulla questione, e hanno deciso di sottoporsi ugualmente alle cure.

Risultati sorprendenti. Il farmaco è arrivato congelato dagli USA ed è stato fatto scongelare a temperatura ambiente nell'ospedale liberiano dove i due si trovavano. Brantly aveva chiesto che la prima dose disponibile andasse alla collega, più anziana e debole, ma il peggioramento delle sue condizioni ha fatto sì che a iniziare fosse proprio il giovane medico, ormai incapace di respirare autonomamente. A un'ora dalla terapia endovenosa, le condizioni dell'uomo sono sensibilmente migliorate: Brantly ha iniziato a respirare normalmente, e il giorno successivo è riuscito ad alzarsi e farsi una doccia prima di essere trasferito negli USA.

Un'evoluzione che alcuni medici locali hanno definito "miracolosa".

Sulla collega, la prima infusione non ha sortito gli stessi benefici: la donna ha ricevuto il trattamento per seconda, e - come il collega - tra i 7 e i 10 giorni dal contagio. Nei test animali, il farmaco non era mai stato somministrato dopo un periodo così lungo. Il secondo trattamento ha avuto più successo e la donna, ormai in condizioni stabili, è stata trasferita con un volo speciale nell'ospedale di Atlanta (l'Ebola può viaggiare in aereo? Per approfondire).

Le critiche. La decisione di somministrare ai pazienti un farmaco mai testato sull'uomo - senza studi scientifici e approvazione di comitati etici - sta suscitando molte perplessità all'interno della comunità scientifica. Non si conoscono, infatti, gli effetti a lungo termine del farmaco, e agendo senza una regolamentazione internazionale si rischia di alimentare false speranze in chi ha contratto il virus, senza contare la disparità di trattamento che non può essere giustificata da passaporto e nazionalità.

Gregory Hartl, portavoce dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, ha ricordato che «le autorità sanitarie non possono iniziare a usare farmaci non testati nel bel mezzo di un'epidemia, per varie ragioni»; e anche Medici Senza Frontiere ha invitato alla cautela: «Come medici, testare un farmaco mai usato sull'uomo è una scelta molto difficile. La nostra priorità è non fare del male, e non siamo sicuri che il trattamento sperimentale non faccia più male che bene».

6 agosto 2014 Elisabetta Intini
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