Salute

Ebola, i sopravvissuti alla prima epidemia sono ancora immuni. Dopo 41 anni

Il sistema immunitario di chi contrasse l'infezione nel 1976 - e non morì - continua a proteggere dal virus. Per chi studia vaccini in grado di prevenire il contagio, è un'ottima notizia. Ma la finestra utile per rintracciare i pazienti si sta chiudendo.

Nell'agosto 1976, un uomo di 44 anni di nome Mabalo Lokela, di ritorno al villaggio natale di Yambuku (Repubblica Democratica del Congo) dopo un paio di settimane in una missione locale, si ammalò di una febbre violenta, con sanguinamento nasale e dissenteria. Nel giro di due settimane perì. In breve tempo le persone con la stessa infezione divennero 318, 280 delle quali morirono.

Poco prima quello stesso anno, un'analoga epidemia aveva funestato il Sudan: fu così che il mondo venne a conoscenza dell'esistenza di una nuova malattia epidemica, che fu chiamata Ebola, dal nome del fiume su cui Yambuku sorge. Oggi, a 41 anni di distanza, le poche persone che contrassero l'infezione e sopravvissero, portano ancora i segni dell'isolamento sociale lasciato dalla malattia. I familiari sono morti (anche a causa dei contagi), e il fatto di essere stati malati causa la diffidenza della comunità locale.

Immuni. Ma queste persone hanno ricevuto un'eredità preziosa: anticorpi capaci ancora oggi, di difenderli dalle nuove epidemie di Ebola. Anne Rimoin, epidemiologa dell'Università della California a Los Angeles, è riuscita a contattare 14 dei sopravvissuti attraverso ricerche certosine e viaggi nelle remote foreste dell'ex Zaire. Il loro sangue presenta ancora gli anticorpi al virus, una protezione che è durata decenni in più rispetto ai 14 anni attestati da precedenti ricerche. Lo studio è stato pubblicato sul Journal of Infectious Diseases.

Tutti e 14 hanno ancora anticorpi che riconoscono almeno una proteina del virus. Quattro presentano anticorpi capaci di neutralizzarlo completamente, «il genere di risposta che si spererebbe di ricevere da un vaccino», dice Rimoin. L'infezione da Ebola, come quelle da morbillo e vaiolo, sembrerebbe fornire un'immunizzazione che dura per tutta la vita. Ecco perché studiare il sangue dei sopravvissuti potrebbe fornire indizi importanti per mettere a punto nuovi, efficaci vaccini.

Poco tempo. Purtroppo la finestra di tempo utile per queste analisi si sta esaurendo. Nella Repubblica Democratica del Congo l'aspettativa di vita è di 62 anni per le donne e 58 per gli uomini. Chi era teenager all'epoca del contagio ora è già molto anziano, e non c'è tempo da perdere.

di te mi ricordo. A proposito di memoria del sistema immunitario, una ricerca dell'Università della California Berkeley appena pubblicata su Nature ha chiarito il meccanismo grazie al quale le cellule immunitarie "ricordano" un'infezione anche a decenni di distanza. Un piccolo gruppo di quelle che attaccano i patogeni rimane vivo per anni, sopravvivendo 10 volte più a lungo degli altri linfociti, e sviluppando caratteristiche adatte a riconoscere l'invasore alla successiva intrusione.

17 dicembre 2017 Elisabetta Intini
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