La rapidità con la quale il mondo prova a contrastare la COViD-19 e il carattere pandemico dell'infezione hanno riportato alla luce alcuni problemi legati ai vaccini che stiamo cercando: bisogna testarli in fretta, ma senza deroghe a controlli e sicurezza; e bisogna decidere dove somministrarli, e a chi. Nessuna di queste fasi e scelte ha una soluzione semplice: vediamo perché.
L'iter da percorrere. Delle oltre 140 "bozze" di vaccini approntate in laboratorio, ce ne sono tre particolarmente promettenti che hanno passato la Fase 2 (vedi sotto) e che entreranno in Fase 3 quest'estate. Si tratta dei vaccini a base di RNA messaggero della statunitense Moderna e di Pfizer e BioNTech, e di quello a base di un adenovirus indebolito dell'Università di Oxford, sul quale sta investendo anche l'Italia. Un altro vaccino prodotto dall'azienda cinese CanSino Biologics, l'Ad5-nCoV, è attualmente in fase di test sull'esercito cinese.
Nei test di Fase 1 la sicurezza del vaccino viene verificata su pochi volontari, per determinare la giusta dose. In Fase 2 la platea viene ampliata a qualche centinaio di persone, per testare eventuali effetti indesiderati e capire se vi sia una risposta immunitaria. La Fase 3 prevede di coinvolgere decine di migliaia di persone (per la covid almeno 20-30 mila) tra soggetti sperimentali e di controllo, per determinare se il vaccino fornisca un effetto protettivo o meno.
Ancora in attività. È in Fase 3 che la questione sul "dove" diventa cruciale. Occorre testare in un luogo dove la probabilità di contagio sia ancora elevata, e alte siano le probabilità di entrare in contatto con il virus. Allo stesso tempo, però, per il bene della salute pubblica è importante contrastare il virus con altri strumenti, come il distanziamento, le mascherine, le nuove terapie ospedaliere...
Se da un lato, quindi, si cerca di appiattire la curva e ridurre vittime e contagi, così facendo - ironia della sorte - vengono meno alcune delle condizioni ideali per testare il vaccino.
diversificare. Anche nei luoghi duramente colpiti dalla pandemia come gli Stati Uniti, che a tutt'oggi contano oltre 2,9 milioni di casi di covid, il contagio non procede ovunque in modo uniforme. Fino a tre mesi fa, New York sarebbe stato il luogo ideale per i test di possibili vaccini, ma ora il contatto con il SARS-CoV-2 (il virus della covid) si verifica più facilmente in Stati come la Florida o l'Arizona.
Per un trial di Fase 3 occorre un importante investimento in personale sanitario e laboratori attrezzati all'individuazione di casi; ma esiste un rischio molto elevato di investire in un centro che in poco tempo, grazie alle misure intraprese, è molto meno utile ai fini di ricerca.
Ecco perché le sperimentazioni di questo tipo sono più spesso iniziative multicentriche, dove si investe in più aree dello stesso Paese contemporaneamente. È una spesa più cospicua, ma condotti così i test danno risultati più affidabili.
Sfruttati e abbandonati. Le persone più duramente colpite dalla covid sono, anche nei ricchi Paesi industrializzati, quelle più svantaggiate: minoranze razziali, indigenti, anziani, persone che abitano in case affollate, che lavorano gomito a gomito in condizioni di fatica o che non hanno una copertura sanitaria. Testare candidati vaccini sulle persone più in difficoltà, o nei Paesi poveri piegati dalla pandemia (pensiamo al Sud America) comporta il rischio di approfittare di una condizione di bisogno, a beneficio di altri.
L'assistenza sanitaria offerta durante i trial farmacologici è spesso più di qualità di quella che di norma ci si potrebbe permettere nel Paese coinvolto, e il compenso dato ai partecipanti è spesso molto più elevato di qualunque stipendio medio locale. Difficile pensare che a queste condizioni si partecipi per libera scelta, e con piena consapevolezza dei rischi.
Una forma di risarcimento. Anche nei casi in cui - come ci si aspetta da un trial di Fase 3 - i rischi siano contenuti, un'importante questione etica riguarda il prezzo che avrà il prodotto finito, che rischia di essere inaffrontabile proprio per gli stessi Paesi che hanno contribuito a rendere quel vaccino possibile. Ci si deve chiedere, come ricorda un articolo pubblicato sulla versione internazionale di Wired, se la soluzione debba essere tenere bassi i prezzi per rendere i vaccini universalmente accessibili, o ricompensare i Paesi che hanno preso parte al trial attaverso aiuti economici e interventi strutturali, come la costruzione di nuovi ospedali o il potenziamento della rete dei laboratori, anche con l'invio di personale qualificato - anche se questa seconda soluzione significa ignorare corruzione, malaffare e malavita.
esercizi di equità. Esistono già linee guida per regolare l'accesso post-trial a farmaci sperimentali, ma il timore è che con la fretta che abbiamo di trovare un rimedio contro la covid questi argini vengano meno. Abbiamo già osservato tentativi unilaterali di accaparrarsi tutte le scorte di farmaci disponibili senza riguardi per gli altri Paesi (come hanno fatto gli USA con il remdesivir). Per evitare che accada anche con i vaccini, occorre muoversi adesso, per esempio per garantire che se un Paese ha partecipato al trial di un vaccino poi rivelatosi inefficace, possa avere la priorità d'accesso a un vaccino efficace.