Una volta ricevuto il vaccino, come faremo a sapere se siamo immuni alla covid? Nell'attuale situazione, la domanda è quantomeno superflua. Tanto per cominciare, perché per liberarci dalla pandemia occorre comunque vaccinare il maggior numero di persone possibile, e concentrarsi sull'ampia protezione offerta dai vaccini: tutti quelli approvati finora, anche quelli con efficacia più ridotta, offrono una protezione pressoché totale contro le forme gravi e letali della malattia. In secondo luogo, perché anche da immuni non potremmo permetterci di abbassare la guardia finché la maggior parte delle persone non sarà vaccinata.
le varianti del virus. Conoscere il livello di protezione immunitaria di ciascuno potrebbe però essere utile in una fase successiva, per valutare se e quando effettuare un richiamo o capire se i vaccinati siano anche protetti contro le varianti del virus. Come ci si sta muovendo, su questo fronte?
Come spiegato sul New Scientist, alcuni test sierologici rapidi usati per individuare le infezioni naturali da coronavirus possono tornare utili per rintracciare gli anticorpi prodotti in risposta ai vaccini dopo tre settimane dalla prima iniezione (il momento in cui inizia a manifestarsi una risposta immunitaria).
i sierologici non bastano. La maggior parte di questi test ricerca gli anticorpi che rispondono alla proteina Spike e, una volta trovati, non riesce a distinguere tra anticorpi dovuti al vaccino o conseguenti a un'infezione. Alcuni, però, ricercano gli anticorpi che riconoscono la proteina virale del nucleocapside che non è contenuta nei vaccini, e quindi non registrerebbero la presenza di una risposta immunitaria conseguente al vaccino.
Inoltre, i test commerciali hanno comunque un margine di incertezza, con un 10% di responsi "falsi negativi" (non registrano anticorpi anche dove ci sono), e un 2% di "falsi positivi" (li trovano, ma in realtà non ci sono). Un altro problema è che i test rapidi sierologici misurano semplicemente la presenza o l'assenza di anticorpi ma non la loro quantità che diminuisce nel tempo. Al momento, le uniche persone testate dopo la vaccinazione, sono state registrate per la ricerca e quindi per capire, per esempio, quanto duri la copertura offerta dai preparati di Pfizer, Oxford-AstraZeneca e Moderna.
Indagini più complete. In futuro serviranno test rapidi che rivelino il livello di anticorpi nei vaccinati e la protezione che queste difese offrono contro le varianti del coronavirus. Alcune compagnie di biotecnologie nel Regno Unito e in Germania stanno lavorando a strumenti diagnostici che rilevino non solo gli anticorpi neutralizzanti ma anche le altre componenti chiave del sistema immunitario, come i linfociti T, che prendono di mira direttamente le cellule infettate dal virus, e i linfociti B della memoria incaricati di produrre anticorpi indirizzati contro specifiche proteine virali.
Attualmente, questi altri attori immunitari non vengono identificati dai test anticorpali, ma in futuro sarà fondamentale studiarli per capire quando intervenire con un vaccino di richiamo.
Nel frattempo, neanche i vaccinati dovrebbero comportarsi da immuni. Finché non saremo usciti dalla fase critica della pandemia è prudente trattare tutti come persone suscettibili se non alla malattia, almeno al contagio e alla trasmissione. Non sappiamo, infatti, in che misura i vaccini riducano anche la circolazione asintomatica del virus.
Massima prudenza. Proprio per questo il Ministero della Salute in Italia ha indicato che anche i vaccinati entrati in contatto con un positivo debbano mettersi in isolamento fiduciario per dieci giorni, ed effettuare un tampone di controllo prima di tornare alla vita "normale". Anche i vaccinati potrebbero infatti risultare positivi, come osservato su alcuni sanitari già immunizzati con covid ma del tutto asintomatici. Non sappiamo se un vaccinato contagiato possa trasmettere il virus a sua volta, ma non possiamo concederci questo rischio.