Salute

Dislessia: che cos'è e come riconoscerla

Nonostante si stimi che quasi in ogni classe ci sia un bambino dislessico, le caratteristiche di questo disturbo rimangono ancora poco conosciute dalle famiglie e dalla scuola. Ecco quali sono le più recenti acquisizioni della ricerca scientifica.

Teo è un bambino bello e intelligente, bravo a scuola. È anche un po’ bizzarro e solitario, ma pieno di interessi. A scuola è andata piuttosto bene per tutte le elementari. Poi, alle medie, una crisi incomprensibile, odio per la scuola e per lo studio. Un giorno, in seconda, sviene in classe: è a quel punto che la famiglia, dopo un colloquio con una psicologa per cercare di capire i motivi di quel disagio profondo, scopre ciò che era stato sempre sotto gli occhi, ma che nessuno era stato in grado di vedere: Teo è dislessico.

La storia dell’improvvisa scoperta della dislessia di Teo, a dodici anni, con alcuni dettagli cambiati perché si tratta di suo figlio, la racconta Francesca Magni, giornalista, ne Il bambino che disegnava parole.

Avere identificato il problema è per la famiglia quasi un sollievo, dopo tanti anni ad arrovellarsi su stranezze e comportamenti che nessuno riusciva a interpretare, ma è anche sconvolgente: come è possibile che, a casa o a scuola, nessuno se ne sia accorto?

La definizione di dislessia. Sembra un paradosso per un disturbo all’apparenza tanto evidente come l’incapacità di leggere, eppure la dislessia, nonostante i progressi nella sua comprensione, resta davvero ancora una grande sconosciuta.

Oggi viene classificata tra i cosiddetti “disturbi specifici dell’apprendimento”, ma a darne una prima descrizione fu un medico inglese alla fine dell’Ottocento, Pringle Morgan. In un articolo pubblicato nel 1896 sul British Medical Journal raccontò il caso di un ragazzino di 14 anni: “è sempre stato intelligente e brillante, veloce nei giochi e in nessun modo inferiore ad altri bambini della sua età. La sua grande difficoltà è stata ed è ancora oggi l’incapacità di imparare a leggere”.

Le definizioni di oggi riecheggiano quella parole: di fatto la dislessia è una difficoltà inattesa nella lettura, in bambini di intelligenza normale.

Ecco che cosa vede un dislessico quando legge. Daniel Britton, un designer inglese cui da adulto è stata diagnosticata la dislessia, ha disegnato questo font per far capire quello che vede un dislessico quando legge. Ecco invece (dal libro di Francesca Magni) la descrizione che fa Beatrice, dislessica, della sua percezione: «Quando leggo le parole mi rotolano davanti, come pietre durante una frana. Non saprei come spiegarmi meglio. Oggi le so acchiappare al volo e metterle in ordine dando un senso, ma da bambina è stata durissima». © Daniel Britton

Leggere, scrivere, far di conto. Tra i disturbi specifici dell’apprendimento, che riguardano cioè un ambito in particolare, la dislessia è solo uno, il più frequente, di una galassia di altri disturbi.

In uno studio condotto in Italia si stima che i dislessici nella popolazione siano un po’ più del 3 per cento. Si tratta però di un mondo sommerso, dato che in due bambini su tre di età scolare il disturbo non è diagnosticato.

Un po’ meno frequenti, secondo le stime, sono i disturbi specifici della scrittura, la disortografia, in cui è presente una difficoltà a trasformare il linguaggio parlato in scritto, la disgrafia, caratterizzata da una compromissione della qualità della scrittura (anche se ci sono dubbi se considerarlo un disturbo a sé stante) e la discalculia, in cui è presente un ritardo negli automatismi delle operazioni numeriche.

Storie di famiglia. Sicuramente la dislessia è il più studiato tra i disturbi dell’apprendimento, nonostante i molti aspetti che rimangono da chiarire. Di accertato c’è che ha una sicura componente ereditaria: spesso i disturbi ricorrono nella stessa famiglia.

Come racconta nel suo libro Francesca Magni, la scoperta della dislessia del figlio porta a riconsiderare con occhi diversi anche le difficoltà del papà del bambino con la calligrafia e la scrittura a mano, o le “stranezze” del nonno, chirurgo e persona colta, che però odiava leggere. Sono state individuate alcune mutazioni genetiche che sembrano costituire una predisposizione, ma non è ancora stato individuato uno specifico “gene della dislessia”. Anzi, si ritiene più probabile che la componente ereditaria sia complessa e non riconducibile a un singolo gene.

Neurodiversi. L’acquisizione più recente della ricerca però è aver individuato in maniera chiara nei dislessici alcune caratteristiche neurobiologiche peculiari e specifiche. «Sostanzialmente, i dislessici hanno un cervello che funziona in modo diverso» sintetizza Matteo Alessio Chiappedi, neuropsichiatra infantile all’Istituto Neurologico Nazionale Fondazione Mondino di Pavia.

Vari studi hanno identificato alterazioni specifiche in alcuni circuiti neurali. Per esempio, studi effettuati con la risonanza magnetica hanno trovato che nel cervello dei dislessici, rispetto a coloro che non lo sono, c’è un grado minore di attivazione e un volume ridotto di alcune aree cerebrali, in particolare nel corteccia parietali e temporale sinistra, entrambe coinvolte nell’elaborazione dei suoni. A lungo i ricercatori si sono chiesti se queste differenze si sviluppassero con l’apprendimento della lettura, o fossero già presenti. La risposta ormai accertata è che esistono fin dalla nascita, anche se i dati non sono ancora così precisi da poter utilizzare queste informazioni per una diagnosi precoce.

L’ipotesi oggi prevalente è dunque che la dislessia abbia una importante componente nella disfunzione dei circuiti neuronali impiegati per la lettura. Le difficoltà dei dislessici deriverebbero dall’incapacità di rappresentare mentalmente le parole e i suoni, e a scomporre le parole in suoni discreti.

Ne Il bambino che disegnava parole (Giunti), Francesca Magni racconta in forma romanzata la storia vera della diagnosi di dislessia a suo figlio, a dodici anni.

Visioni differenti. Alcuni studi puntano in una direzione diversa: all’origine della dislessia ci sarebbe un disturbo nella percezione visiva. Una ricerca italiana (di cui Focus parlava qui) ha per esempio individuato una mutazione genetica, presente all’incirca in un dislessico su cinque, che produce alterazioni nella percezione del movimento: all’origine delle difficoltà nella lettura ci sarebbe l’incapacità di distinguere le linee sottili delle lettere mentre gli occhi si muovono sulla riga di testo.

Altre ricerche ancora hanno indagato sulle peculiarità percettive delle persone dislessiche.

“Senza cadere nella retorica della genialità e della creatività dei dislessici, che fa tanti danni quanto il pregiudizio che li considerava incapaci e poco intelligenti, si sta analizzando in maggior dettaglio il modo in cui vedono o focalizzano l’attenzione” osserva Chiappedi.

Secondo alcuni studi svolti al MIT di Boston, per esempio, mentre i lettori normali riescono a identificare le lettere al centro di una riga con maggiore accuratezza, nei dislessici vale il contrario: vedono meglio quelle ai margini. Per questo, nei compiti che richiedono una buona visione periferica, si dimostrano più abili degli altri. Per lo stesso motivo, essendo più capaci di valutare i dettagli ai margini del campo visivo, che normalmente fatichiamo a vedere, colgono al volo l’insieme di un’immagine: riescono per esempio identificare più velocemente le cosiddette figure impossibili, immagini come quelle dell’artista olandese Escher, in cui le scale non portano da nessuna parte, o l’acqua scorre all’insù.

Scoprirlo presto. Anche se ufficialmente la diagnosi di dislessia, essendo legata alle difficoltà di lettura, non può essere confermata prima della fine del secondo anno della scuola primaria (per la discalculia la terza elementare), ci sono alcuni segnali che fin dagli anni dell’asilo possono far nascere il sospetto. «Spesso questi bambini hanno problemi a denominare in modo rapido e corretto oggetti anche di uso comune, oppure a organizzare le sequenze di suoni nelle parole» spiega Chiappedi. Casi tipici sono la difficoltà a pronunciare le parole con più sillabe, oppure a riconoscere le rime. Di solito i bambini fanno fatica anche a focalizzare l’attenzione. Poi, all’ingresso della scuola, le difficoltà specifiche nella lettura emergono più chiaramente.

Leggere per migliorare. I ricercatori concordano sul fatto che la sfida principale nella dislessia sia trovare il modo per far sì che un bambino legga più parole in meno tempo, per rendere il compito meno ripugnante, e fare in modo che allenamento ed esercizio migliorino in un circolo virtuoso la lettura. Alcuni interventi apparentemente banali testati di recente sembrano funzionare. Per esempio, un semplice aumento della spaziatura tra le lettere si è dimostrato in grado di migliorare la lettura, per il semplice fatto che i dislessici trovano particolare difficoltà a percepire l’”affollamento” dei caratteri e dei segni. Un altro studio recente ha individuato nell’allenamento con i videogiochi di azione un sistema utile per migliorare la capacità di attenzione, e indirettamente anche la speditezza nella lettura.

26 novembre 2017 Chiara Palmerini
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