I discorsi prolissi e contorti, un po’ ripetitivi, possono essere un segnale del morbo di Alzheimer. Non è questione di verbosità del discorso, caratteristica di molte persone, ma di cambiamenti tipici del linguaggio che potrebbero essere una spia della malattia prima che sia manifesti con i suoi sintomi più eclatanti, a partire dalla perdita della memoria.
scrittori e politici sotto esame. Da tempo alcuni gruppi di ricercatori, nel tentativo di scoprire indizi rivelatori precoci, stanno studiando come cambia il modo di esprimersi da prima a dopo la diagnosi del morbo.
Esaminando le opere della scrittrice inglese Iris Murdoch, per esempio, un gruppo di neuroscienziati dello University College di Londra ha scoperto che il vocabolario del suo ultimo romanzo, Jackson’s Dilemma, pubblicato nel 1995 poco prima che le venisse diagnosticata la malattia, è assai meno variegato di quello dei suoi scritti di 15 o 20 anni prima, come Il mare, il mare. Un lessico meno ricco, con parole più semplici, spesso precederebbe anche di molto tempo problemi più evidenti con la costruzione delle frasi caratteristiche delle fasi più avanzate della demenza.


Un altro gruppo di ricerca ha invece analizzato i lavori di Agatha Christie, cui però il morbo di Alzheimer non è mai stato diagnosticato ufficialmente, per scoprire che anche nel suo caso il vocabolario delle ultime opere era molto più ristretto e declinava, in varietà, rispetto alle prime, anche del 30 per cento, mentre aumentava la ripetizione di frasi e l’uso di parole indefinite, come “cosa”, “qualcosa”.
Un altro studio ancora ha individuato cambiamenti netti nei discorsi dell’ex-presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan, cui il morbo di Alzheimer è stato diagnosticato dopo la fine del suo secondo mandato (1989). Nel corso della presidenza, i suoi discorsi mostrano una diminuzione del numero di parole uniche e un aumento delle ripetizioni e di riempitivi generici, mentre i discorsi di George Bush senior, diventato presidente all’incirca alla stessa età (65 anni), non mostrano lo stesso tipo di declino.

Frasi contorte. L’ipotesi iniziale degli studiosi era che il linguaggio regredisse nella demenza nell’ordine inverso rispetto a quello viene acquisito da bambini. Testando questa ipotesi, in realtà, la neuropsicologa Janet Cohen Sherman e il suo gruppo al Massachusetts General Hospital di Boston, hanno scoperto che così non è, ma hanno trovato altre conferme che i deficit di linguaggio della malattia nelle sue primissime fasi siano caratteristici e misurabili.
Dovendo per esempio riunire in una frase tre parole come “carta”, “penna” e “inchiostro”, le persone sane, siano giovani sia anziane, di solito compongono una frase semplice e concisa.
Gli individui con lievi disturbi cognitivi (quelli che poi possono evolvere in demenza) tendono invece a generare discorsi più complicati e contorti.
In un altro studio, quando ai volontari veniva chiesto di ripetere una frase ascoltata, le persone con lievi disturbi cognitivi avevano assai più problemi rispetto alle persone sane a destreggiarsi con frasi contenenti pronomi disposti in modo ambiguo, come in “Marco è andato a trovare Giulio dopo la sua laurea”.
Un test per la diagnosi? Secondo Sherman, che ha presentato queste ricerche al convegno dell'American Association for the Advancement of Science, che si è concluso qualche giorno fa a Boston, tra cinque anni potrebbe essere disponibile un test psicologico di valutazione del linguaggio che aiuti a diagnosticare precocemente l’Alzheimer.