Dopo la nascita del bambino, nel periodo che nell’aspettativa comune dovrebbe essere di gioia e felicità, la neomamma può invece avere pensieri cupi e, impaurita, può arrivare al punto da sentire come insormontabile il compito di badare al figlio o a se stessa. Questi sono alcuni dei tratti caratteristici della depressione post-partum, un disturbo con molte sfumature di gravità, che può colpire le donne nelle prime settimane o mesi dopo la nascita di un figlio. Se viene diagnosticata - il che non è detto, perché non sempre è facile da riconoscere - a una donna potevano finora solo essere prescritti normali farmaci antidepressivi.
Ora la FDA, l’ente americano che regola i medicinali, ha approvato di recente il primo trattamento specifico per la depressione delle neomamme: una decisione accolta come una novità di rilievo, perché il composto agisce in modo diverso dai tradizionali antidepressivi, e perché finora non esisteva alcun trattamento mirato a questa forma specifica di depressione.
Sfumature di infelicità. I disturbi dell’umore che colpiscono la neomamma si possono presentare in diverse forme, più o meno debilitanti. Il cosiddetto baby blues, la tristezza che a volte le mamme provano poco dopo la nascita del figlio, e che probabilmente è collegata ai cambiamenti ormonali della fine della gravidanza, è piuttosto comune e di solito passa in breve tempo, da sola. Diverso è il caso della depressione vera e propria, che si stima colpisca circa una donna su dieci, e che si manifesta in genere più avanti, ad alcuni mesi dal parto e fino al primo anno di vita del bambino.
In questo caso i sintomi sono assai più seri, con la mamma che è presa da grande stanchezza fisica e mentale, alterazioni del sonno e dell’appetito, ansia, preoccupazione, umore costantemente basso, sentimenti di inadeguatezza. Il disagio non è sempre evidente, in parte perché la stanchezza è una componente normale dell’accudimento di un neonato, in parte perché le donne stesse tendono a minimizzare o ad attribuire ad altre cause il loro malessere. In casi molto rari, quelli che a volte arrivano tristemente sulle cronache, i disturbi possono assumere la forma ancora più grave di una psicosi post-partum, con deliri e allucinazioni, in cui la donna può arrivare a fare del male a se stessa o al figlio.
Ormoni nel cervello. Il nuovo farmaco è una molecola chiamata brexanolone. Si tratta della forma sintetica di un ormone presente in modo naturale nel sistema nervoso, l’allopregnanolone, derivato a sua volta dal progesterone.
A svilupparlo è stata l’azienda americana Sage Therapeutics, ma la storia parte da più lontano. A scoprire i neurosteroidi, cioè gli ormoni presenti nel sistema nervoso, fu all’inizio degli anni Ottanta lo scienziato francese Emile Baulieu, che ha contribuito a inventare la pillola anticoncezionale.
Il gruppo di ricerca di Graziano Pinna, alla University of Illinois (Chicago, Usa), ha poi scoperto che il cervello produce questo neurosteroide in quantità sufficienti a regolare il comportamento emotivo, e ha messo a punto dei metodi per misurarne la presenza in maniera precisa.
«Abbiamo osservato che nei pazienti con alcune patologie psichiatriche, per esempio la depressione maggiore o il disturbo post-traumatico da stress, questo ormone è presente in quantità minori», spiega Pinna a focus.it, e succede anche che, in gravidanza, «progesterone e allopregnanolone aumentino moltissimo, per poi calare in maniera drastica dopo il parto.»
Benché le cause scatenanti della depressione post-partum non siano del tutto note, si ritiene che la sensibilità individuale a questi drastici cambiamenti ormonali giochi un ruolo importante, ed è questo che ha portato all’idea di provare ad agire su questo meccanismo per contrastare la depressione, fornendo un supplemento di allopregnanolone alle donne che dopo il parto manifestino i sintomi.
La nuova molecola. Il farmaco è stato testato finora su un numero ridotto di pazienti: in totale circa 250 donne. Nei tre studi clinici che hanno poi portato all’approvazione da parte dell’FDA, tutti sponsorizzati dalla ditta produttrice, si sarebbe però dimostrato in grado di ridurre i sintomi della depressione moderata o grave in modo abbastanza efficace.
Come avviene di routine nella sperimentazione dei farmaci antidepressivi, la nuova molecola è stata testata contro un placebo. È ben noto che anche la somministrazione di una pillola finta produce miglioramenti anche molto significativi, a volte paragonabili a quelli del farmaco vero. In questo caso, però, più donne nel gruppo che assumeva il farmaco ha avuto una riduzione netta dei sintomi rispetto a quello di donne in trattamento con il placebo. Un segnale giudicato insolito in questo genere di studi.
La caratteristica che i medici giudicano più interessante del nuovo trattamento è la sua rapidità di azione. I medicinali antidepressivi usati normalmente, i cosiddetti SSRI (la famiglia del Prozac), impiegano diverso tempo - almeno alcune settimane - per fare effetto. Il brexanolone, invece, avrebbe un’azione assai rapida, riducendo i sintomi nel giro di 48 ore. A momento non si sa quanto a lungo i benefici possano durare, perché il trattamento è stato monitorato per trenta giorni.
Pro e contro. Il farmaco, però, è tutt’altro che di facile utilizzo: deve essere somministrato sotto forma di infusione endovenosa, e in ambiente controllato, dunque in ospedale. Oltre a disagi comuni, come l'insonnia, può infatti avere effetti collaterali più seri, per esempio svenimenti. Sul versante dei costi, inoltre, negli Stati Uniti la terapia costa 34.000 dollari (circa 30.000 euro), esclusa la degenza in ospedale.
Anche l’EMA, l’Agenzia europea per i farmaci, sta valutando l’approvazione con iter accelerato, e a un prezzo probabilmente tarato su parametri europei, però è probabile che sia comunque elevato. Nel frattempo, sono in corso sperimentazioni di molecole simili sotto forma però di pillola, invece che di infusione endovenosa, nel trattamento della depressione maggiore.
Alla ricerca di nuove strategie. L’approvazione del brexanolone dopo quella, poche settimane fa (sempre in America) del farmaco esketamina contro la depressione grave resistente ai farmaci tradizionali, è un segnale che qualcosa si sta muovendo nel campo del trattamento di questi disturbi, contro cui da decenni non vengono approvati farmaci con meccanismi d’azione nuovi.
«La malattia che chiamiamo depressione è in realtà probabilmente un insieme di disturbi diversi», osserva Pinna, «e una delle difficoltà nel caratterizzarla deriva anche dal fatto che non esistono oggi biomarcatori per individuare in modo sicuro i pazienti che ne sono colpiti».
Oggi si tende sempre più a pensare che sia troppo semplicistica e poco corrispondente alla realtà l’ipotesi che i disturbi dell’umore siano causati da un unico "squilibrio chimico", un meccanismo semplice come la caduta dei livelli di serotonina, il cosiddetto neurotrasmettitore della felicità. E il fatto che molecole che agiscono su meccanismi e per strade differenti mostrino una qualche efficacia nel trattamento della malattia è un indizio a supporto di questa tesi. Il puzzle, lentamente, si va componendo.