Delle promesse dell'editing genetico abbiamo scritto spesso: le forbici molecolari di precisione, in grado di correggere tratti specifici del DNA, potrebbero rivoluzionare il trattamento di molte malattie, o trovare applicazioni in ambiti diversi da quello medico, come l'agricoltura.
Potrebbero però anche favorire la proliferazione di tumori: è la tesi di due studi scientifici pubblicati lunedì 11 giugno su Nature Medicine.
Una funzione fondamentale. I due lavori - una collaborazione tra l'Università di Cambridge (Regno Unito) e il Karolinska Institutet (Svezia) il primo, e una ricerca dell'azienda farmaceutica Novartis il secondo - mettono in luce il ruolo chiave del gene p53 nella prevenzione dei tumori perché uccide (o meglio: spinge al suicidio) le cellule che hanno il DNA danneggiato.
Studi passati hanno dimostrato che molti tipi di cancro non si formano, nell'uomo, quando questo gene funziona correttamente: il p53 è quindi considerato, come ben sottolinea un articolo su Futurism, un "guardiano del genoma".
Questa cellula si autodistruggerà. Il problema è che questo gene si attiva a difesa della cellula anche quando il DNA viene "danneggiato" - ossia tagliato e rimpiazzato nelle parti difettose, con la tecnica CRISPR/Cas9 (leggi qui come funziona). Quando questo sistema di allarme si attiva, la cellula "editata" si autodistrugge.
Da una parte, ciò implica che questo tipo di editing genetico non sia sempre efficace; dall'altra, che le cellule sulle quali invece funziona siano quelle in cui il p53 non lavora come dovrebbe (non è cioè abbastanza "vigile").
Sono proprio queste cellule a essere trapiantate, una volta editate nel DNA, nel corpo dei pazienti: ma poiché il loro p53 è probabilmente disfunzionale, potrebbero innescare mutazioni precorritrici di tumori come quelli alle ovaie, al colon e al retto, all'esofago.
Perplessità. Le due ricerche non vogliono oscurare le potenzialità delle tecniche di editing genetico, ma evidenziare la necessità di un più alto livello di attenzione su possibili fattori oncogeni. Cellule diverse hanno diverse tipologie di enzimi deputati alla riparazione del DNA, e non è chiaro se quanto osservato in via preliminare nei due studi sia applicabile anche alle linee cellulari indirizzate alle sperimentazioni cliniche.
Inoltre, le due ricerche si riferiscono esclusivamente a un tipo di editing genetico: quello destinato a correggere parti di DNA difettoso con la CRISPR/Cas9. Esistono però altri strumenti che operano sul genoma in modo diverso, e che non chiamano in causa il p53: oltretutto, cambiamenti e rotture del DNA cellulare avvengono in continuazione, e non è chiaro perché il gene "guardiano" dovrebbe attivarsi in particolare in risposta a un intervento con la CRISPR/Cas9.