Salute

CoViD-19, Fase 2 - Andrea Crisanti: le regole per l'Italia

10 proposte per l'Italia: che cosa andrebbe fatto secondo Andrea Crisanti, lo scienziato che ha contribuito ad arginare la diffusione del virus in Veneto.

Da lunedì 18 maggio una parte dell'Italia si è rimessa in movimento. Non tutti sono arrivati alla ripartenza, ma si sono visti negozi e bar aperti, gente per strada, aperitivi, incontri. Sogni e speranze, ma anche tante paure. Perché, a distanza di quasi tre mesi dall'inizio ufficiale dell'epidemia di CoViD-19, molti problemi rimangono: mancano tamponi e reagenti, i test sierologici non sono di grande aiuto e gran parte degli infetti, circa 4 su 5, sfugge ai conteggi. E allora, la situazione è davvero sotto controllo? Che cosa si può fare per migliorarla? Serve davvero una app di tracciamento? In altre parole, come dovrebbe essere gestita al meglio la Fase 2?

Una strategia in 10 punti. Abbiamo rivolto queste domande ad Andrea Crisanti, docente di Microbiologia all'Università di Padova e consulente della Regione Veneto, che ha affrontato con successo l'inizio dell'epidemia portando la sua regione a trasformarsi da pericoloso focolaio a modello di ciò che si può fare per sconfiggere il virus. Ossia, prima di tutto, un approccio razionale basato su misure, dati, protocolli, rigore, trasparenza, ricerca. Ecco, dunque, i suoi consigli.

Il microbiologo Andrea Crisanti
Andrea Crisanti, docente di Microbiologia all'Università di Padova e consulente della Regione Veneto. I suoi studi e il suo modello organizzativo si sono rivelati molto efficaci nella Fase1. © Andrea Crisanti

1. I DATI da MONITORARE. Per tenere sotto controllo il virus, è necessario stabilire alcuni indicatori per monitorarne la trasmissione. I dati sui pazienti positivi ai test, di cui abbiamo notizia dalla Protezione Civile, non bastano, perché i casi reali sono molti di più. Se non si riescono a fare abbastanza tamponi, bisognerebbe contare anche i pazienti che telefonano, e che sono invitati a rimanere a casa senza una diagnosi.

In questo modo il numero sarebbe leggermente sovrastimato, ma avremmo un'idea più precisa di quello che è il dato più importante: l'incidenza giornaliera della malattia. Perché l'incidenza giornaliera è un indicatore fondamentale per valutare il rischio. E senza conoscere il rischio è azzardato prendere decisioni. Se manca questa informazione è come se vagassimo nella nebbia. Inoltre, i nuovi casi dovrebbero essere suddivisi per area geografica e per fasce sociali o di impiego. Perché è importante anche la distribuzione: non basta sapere quanti casi ci sono in Lombardia, bisogna sapere dove si trovano e che fascia della popolazione interessano.

2. La ricerca dei contatti. Per tutti i casi positivi, bisogna poi fare una ricerca sistematica dei contatti e vedere se tra questi ci sono altri infetti. Si può procedere per cerchi allargati di interazione: prima familiari, poi parenti, vicini, amici e colleghi di lavoro. Bisogna anche monitorare regolarmente le persone a rischio, come gli operatori sanitari e il personale delle residenze per anziani, le RSA.

 

3. negli Aeroporti. È necessario implementare protocolli precisi sul tracciamento delle persone che provengono dall'estero. Questi passeggeri dovrebbero fare un tampone in aeroporto, e fornire un recapito dove rintracciarli, se necessario.

 

4. Task force e tamponi. Se viene identificato un nuovo focolaio, bisogna definire una zona rossa e fare il tampone a tutti, come abbiamo fatto a Vò. Per farlo, bisogna allestire una task force di intervento rapido, costituita da laboratori mobili con un coordinamento centrale. Se il focolaio fosse in una città, si può isolare un quartiere e agire lì, senza bloccare tutto.

5. L'App di tracciamento. Il tracciamento elettronico può essere utile, ma ha senso farlo solo in caso di elevata partecipazione da parte dei cittadini. Con il livello di partecipazione proposto del 60%, che può sembrare elevato, la probabilità che due persone abbiano l'app e si incontrino è del 36%. Però, poiché i casi registrati sono probabilmente il 20% di quelli reali, quello che si intercetta è soltanto il 7% circa dei casi.

Quindi l'app, usata così, è inutile. Dovrebbe essere adottata da una più ampia maggioranza della popolazione, e dovrebbe tener conto anche dei casi che si attestano telefonicamente (v. punto 1). C'è un altro aspetto importante: ci dovrebbe essere una separazione netta tra lo sviluppatore e chi dovrà gestire i dati, ossia la governance, in modo che i soggetti non possano intervenire su ciò che compete all'altro. Solo così si può garantire una totale trasparenza sull'uso e sulle finalità dello strumento. La governance, inoltre, dovrebbe essere controllata da rappresentanti sindacali, associazioni di consumatori o altri organismi a tutela dei cittadini.

6. Classi di rischio. È utile definire classi di rischio di contagio, cioè persone che hanno molti contatti, e quindi più probabilità di contrarre il virus. È importante farlo, perché queste categorie sono diverse da quelle costituite dalle persone più vulnerabili (per lo più gli anziani). E bisognerebbe effettuare tamponi a campione su questi gruppi. È ragionevole limitarsi a farlo nei luoghi di lavoro, perché sarebbe troppo complesso individuare le classi di rischio per tutta Italia. Invece, purtroppo, non è possibile definire categorie di persone esenti da rischio. I test sierologici al momento non danno garanzie, perché – per come funziona il virus – non permettono di stabilire né quando un paziente si è infettato, né se è protetto.

 

Tamponi Covid-19
Un operatore effettua un tampone durante una campagna di controllo. I tamponi sono indispensabili per la gestione dell'epidemia, e a seconda dei casi possono essere effettuati su tutti gli individui di un gruppo, o a campione. © Shutterstock

7. liberi di cambiare reagenti. Recentemente, uno dei problemi per la diagnosi è stato la mancanza di reagenti, che sono indispensabili per effettuare i tamponi. Questa difficoltà nasce dal fatto che i vari laboratori hanno acquistato dai produttori reagenti legati ciascuno a uno strumento specifico. E questo crea un problema di efficienza. Invece è importante rendersi indipendenti dai fornitori, utilizzando sistemi intercambiabili. In questo modo, se uno strumento si rompe è più facile da sostituire. E se in un laboratorio mancano i reagenti, si possono prendere da un altro, facendo aumentare enormemente la flessibilità.

8. strutture per la quarantena. È importante identificare strutture appropriate per la quarantena: per evitare il contagio all'interno delle famiglie, è opportuno ospitare le persone infette in luoghi dove possano stare in modo dignitoso e confortevole, separandole se necessario dai parenti. Come detto più volte, però, è necessario innanzitutto potenziare la medicina del territorio, e quindi la rete di ambulatori e medici di base, che rappresenta il punto di contatto dei cittadini con il sistema sanitario. La guerra contro la CoViD-19 si vince così, non negli ospedali: ogni volta che un paziente arriva in rianimazione, è una sconfitta. Ovviamente, le mascherine servono e devono essere utilizzate da tutti in presenza di altre persone e all'interno di ambienti chiusi.

9. scuole sì, ma con prudenza. Le scuole restano un problema di difficile soluzione. Sicuramente i bambini sono meno suscettibili al virus, e per questo ritengo che sia un rischio accettabile mandare i bambini a scuola. Però bisogna evitare che l'entrata e l'uscita diventino occasioni di assembramento per i genitori e di contagio. Quindi potrebbero esserci entrate e uscite scaglionate, per esempio. Con un po' di ingegno, sono convinto che si possano trovare buone soluzioni.

10. potenziare la Ricerca. Per finire, è indispensabile investire nella ricerca. Nei primi decreti non c'era un singolo euro per questo. Ma le risposte a questa malattia vengono principalmente dalla ricerca, soprattutto nel medio e lungo termine. A Vò Euganeo, con i nostri esperimenti, abbiamo trovato che ben il 40% degli infetti sono asintomatici, e sono altrettanto contagiosi. Ma rimane da capire perché, ed è un autentico mistero. Adesso stiamo studiando la risposta anticorpale di queste persone, per vedere se c'è una differenza tra coloro che hanno sviluppato la malattia in forma più o meno grave.

Stiamo cercando, in particolare, di comprendere se ci sono differenze genetiche in grado di determinare la suscettibilità alla CoViD-19.

Spesso l'impatto delle differenze genetiche è enorme: ci sono geni che proteggono contro l'Hiv, altri che difendono contro la malaria. E allora, se si scoprissero geni che conferiscono una suscettibilità aumentata al nuovo coronavirus, nel momento della diagnosi i vari pazienti potrebbero essere indirizzati verso protocolli terapeutici differenti, per esempio verso l'immunoterapia con plasma. Sarebbe un'arma veramente efficace per una buona gestione della malattia.

23 maggio 2020 Andrea Parlangeli
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