Salute

Covid, positivi asintomatici: che cosa dice la scienza

Quanti sono gli asintomatici rispetto al totale dei contagiati? Che ruolo hanno nella trasmissione della malattia? Alcune cose che abbiamo imparato.

Il ruolo degli asintomatici è stato sin dall'inizio della pandemia una delle maggiori incognite sulla covid: la discussione scientifica si è concentrata soprattutto sul loro numero rispetto al totale dei malati e sul loro ruolo nel trasmettere l'infezione. Rispetto a qualche mese fa, oggi abbiamo più dati a disposizione: alcuni particolari sono ora più chiari, mentre altri restano oggetto di dibattito.

Asintomatico: che cosa vuol dire? Le persone realmente asintomatiche sono quelle che non sviluppano alcun sintomo per tutta la durata della malattia. La maggior parte delle persone sviluppa sintomi entro 7-13 giorni dal contagio: chi neanche in questa finestra estesa mostra segni dell'infezione può essere considerato un positivo asintomatico (anche se una definizione "ufficiale" di asintomatico ancora non c'è). Molti pazienti sono paucisintomatici, ossia hanno malesseri molto lievi, mentre altri - i pre-sintomatici - contagiano i loro contatti più stretti nei giorni immediatamente precedenti i sintomi. Queste differenze hanno creato confusione nelle prime fasi della malattia, quando si pensava che addirittura l'81% dei casi fosse asintomatico.

Quanti restano senza sintomi? Oggi sappiamo che è asintomatica circa un'infezione su cinque da nuovo coronavirus. In base a una recente analisi della letteratura scientifica sul tema, che ha riguardato 13 studi su 21.708 persone, la porzione di asintomatici è del 17% del totale di casi. Gli scienziati hanno ritenuto asintomatiche le persone che non avevano mostrato sintomi per almeno 7 giorni dal tampone positivo.

Silenziosi serbatoi virali? Quello stesso studio ha concluso che gli asintomatici hanno il 42% di probabilità in meno di trasmettere il SARS-CoV-2 rispetto ai malati con sintomi. Un rischio inferiore di contagio è documentato anche da un'altra indagine epidemiologica condotta a Ginevra (qui in pre-pubblicazione) nella quale è stato studiata la trasmissione del virus tra persone conviventi. Il rischio che un positivo asintomatico passasse la covid a un convivente era pari a un quarto rispetto al rischio corso da un sintomatico.

comportarsi da asintomatici (per proteggere gli altri). A controbilanciare il rischio inferiore di trasmissione c'è però il fatto che le persone asintomatiche restano in circolazione e a contatto con le altre per l'intera durata della loro infezione; quasi sempre sfuggono al tracciamento e non essendo isolate rappresentano un potenziale rischio. In generale, secondo i Centre for Disease Prevention and Control statunitensi, oltre la metà dei contagi ha origine da persone che in quel momento non stanno ancora mostrando i sintomi della covid e sono quindi inconsapevoli di essere infettive.

Ecco perché nessuno al momento può permettersi di rinunciare a distanziamento e mascherina: finché non effettuiamo un tampone non è possibile sapere se siamo asintomatici (o presintomatici), e se rappresentiamo una fonte di contagio.

Motivo di disaccordo. Non tutti gli scienziati sono d'accordo nel considerare gli asintomatici un grosso rischio per la salute pubblica. Se la loro percentuale è inferiore rispetto alla fetta dei sintomatici, se non tossiscono o starnutiscono, e se le probabilità di contagio sono comunque più basse che per altri positivi, forse converrebbe, secondo questa scuola di pensiero, convogliare le forze sui sintomatici.

Liberi prima. La rianalisi di 79 studi sulla carica virale e la trasmissibilità del SARS-CoV-2 dimostra che gli asintomatici hanno una quantità iniziale di particelle virali in naso e gola simile a quella di chi ha sintomi, ma sembrano sbarazzarsi del virus più rapidamente e rimangono per infettivi meno a lungo.

23 novembre 2020 Elisabetta Intini
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