Già durante la prima ondata di covid si è capito che, negli USA, la malattia da nuovo coronavirus stava colpendo in modo sproporzionato i cittadini afroamericani ed ispanici, interessati da una maggiore prevalenza di contagi e decessi. Così, quando Gbenga Ogedegbe, direttore della divisione di Salute e Comportamento della Grossman School of Medicine presso l'Università di New York, ha iniziato a studiare i dati sanitari dei pazienti con CoViD-19 nella Grande Mela, si aspettava che gli appartenenti alle minoranze fossero più di frequente ricoverati in ospedale. Ma si sbagliava.
mortalità. L'analisi delle cartelle mediche di 11.547 pazienti seguiti dal Langone Health system dell'Università di New York tra marzo e aprile 2020 ha rivelato che ispanici e afroamericani sono più spesso contagiati dalla covid ma - contrariamente alle aspettive - non vengono più spesso ricoverati in ospedale. Inoltre, una volta ricoverati non muoiono più spesso dei pazienti bianchi (gli afroamericani hanno anzi un rischio un po' più basso di sviluppare una forma grave di infezione o morire).
I risultati del lavoro pubblicato su JAMA Network Open potrebbero sembrare sorprendenti, ma sono in linea con quelli ottenuti da altre ricerche. La scoperta non contraddice quanto ci siamo detti finora, e cioè che gli statunitensi afroamericani o ispanici siano stati più duramente colpiti dalla pandemia rispetto ai bianchi, e che contagi e morti abbiano investito queste comunità in modo molto più profondo e pervasivo. Lo studio suggerisce, piuttosto, una diversa chiave di lettura al triste esito che già conosciamo, e cioè che non c'è alcuna "innata vulnerabilità" legata all'origine (infatti, i pazienti abbastanza gravi da arrivare in ospedale non hanno un esito più infausto).
discriminazioni sistemiche. Le ragioni di questo diverso impatto sono invece puramente socio-economiche, legate alla maggiore esposizione al virus dei cittadini appartenenti a minoranze etniche: disuguaglianze strutturali che avrebbero potuto essere colmate con interventi politici, e che invece si sono fatte più profonde prima della pandemia, causando così morti che si sarebbero potute evitare.In effetti, persiste tra ispanici e afroamericani un aumentato rischio di contagio dovuto alla difficoltà di mantenere le distanze in case, mezzi pubblici e luoghi di lavoro sovraffollati. A New York, dove è stato condotto lo studio, il 75% dei lavoratori essenziali appartiene a minoranze etniche: per questi impieghi non esiste la possibilità di telelavoro.
Le chance di sviluppare forme gravi di covid sono più elevate in contesti dove l'accesso ai servizi sul territorio è ostacolato dalla mancanza di un'assicurazione sanitaria e quindi dalla riluttanza a cercare aiuto o a trovare cure di qualità. Questo aspetto potrebbe aver aumentato nelle comunità studiate le circostanze di decesso a casa: morti silenziose "non ospedaliere", non censite dallo studio. Altri pazienti potrebbero aver scelto di non recarsi in ospedale per la paura di contrarre lì la malattia o di non ricevere cure adeguate, come accaduto anche in Italia nella primavera 2020. In questa zona grigia sarebbero da collocare le perdite che hanno contribuito alla più elevata mortalità della covid tra afroamericani ed ispanici.
Più donne. Infine, secondo lo stuidio, più del 60% dei pazienti afroamericani ricoverati per covid era donna, caratteristica più favorevole a un esito positivo della malattia. Anche questo fatto potrebbe avere in qualche modo viziato i risultati della ricerca. Infine, in un sistema in cui la qualità dell'assicurazione sanitaria determina quella delle cure, è probabile che i pazienti meno abbienti abbiano cercato aiuto in ospedali meno preparati e quindi, una volta dimessi, aver sofferto di omplicazioni letali.