Fake news, bufale, disinformazione... parole diverse per dire la stessa cosa e dare un nome creativo alle falsità che spesso leggiamo, soprattutto in rete - e se è vero che al giorno d'oggi i maggiori ricettacoli di bufale sono i social network, allora sono i giovani i più esposti alla disinformazione. Secondo un sondaggio condotto la scorsa primavera da Ofcom, il 60% dei britannici dai 16 ai 24 anni di età avrebbe utilizzato i social network per informarsi sulla CoViD-19, e il 59% si sarebbe imbattuto in fake news.


Bufale, un tanto al chilo. Uno studio pubblicato sull'American Journal of Tropical Medicine and Hygiene ha analizzato la composizione delle bufale sulla covid, cercando di capire quali fossero gli argomenti più gettonati dai creatori di fake. La ricerca ha passato in rassegna 2.311 articoli pubblicati in 87 Paesi e 25 lingue diverse tra il 31 dicembre 2019 e il 15 aprile 2020. Ne è emerso che quasi un quarto delle bufale pubblicate riguardano la malattia stessa, la sua modalità di trasmissione e la mortalità; circa un quinto prende di mira le misure restrittive (vedi anche: Cinque miti sfatati su covid e mascherine), mentre 19 volte su 100 il bersaglio delle fake news sono trattamenti e cure (con il sempreverde falso dibattito sui vaccini).
Sfiducia e paura. Il problema della diffusione di notizie false arriva in un momento in cui la fiducia dei lettori nei media è ai minimi storici: secondo il Digital News Report 2019 della Reuters, che ha analizzato i dati raccolti online da YouGov riguardanti oltre 75.000 consumatori in 38 Paesi del mondo, sempre più persone decidono di non informarsi. I motivi sono diversi: dal crollo della fiducia nei canali di informazione (fiducia che si attesta, in media, ad appena il 42%), alla paura di imbattersi in fake news senza poterle riconoscere, al desiderio di non leggere notizie che influenzino negativamente (specialmente di questi tempi) il proprio umore.