Perché una stessa variante di coronavirus provoca in molte persone una malattia lieve o asintomatica e in altre forme gravi, persino letali, di covid? Alcune risposte già le conosciamo (età, status vaccinale, malattie pregresse); ma almeno una fetta dei casi più seri di CoViD-19 sembrerebbe dipendere da fattori genetici.
In base a uno studio pubblicato su Nature, il 15-20% dei pazienti colpiti dai sintomi più preoccupanti della malattia da SARS-CoV-2, come le polmoniti interstiziali, reca infatti caratteristiche genetiche che provocano la distruzione degli interferoni (vedi box rosso, più sotto), molecole prodotte dall'organismo in risposta alle infezioni virali. Queste proteine costituiscono una fondamentale barriera di difesa contro il nuovo coronavirus.
Non prodotto o distrutto. Lo studio è frutto di una collaborazione internazionale di scienziati coordinata da Jean-Laurent Casanova, della Rockefeller University (New York), che include il consorzio internazionale di genetica Covid Human Genetic Effort (CHGE) di cui fanno parte, per l'Italia, il gruppo di Giuseppe Novelli, genetista dell'Università di Roma Tor Vergata, l'Istituto San Raffaele di Milano, l'Università di Brescia, l'Ospedale Bambino Gesù di Roma. Proprio questo team aveva dimostrato, in uno studio in precedenza pubblicato su Science, che una parte dei pazienti che avevano contratto una grave polmonite da covid presentava autoanticorpi (anticorpi finiti fuori controllo) che prendevano di mira gli interferoni di tipo 1, molecole incaricate di potenziare la risposta immunitaria contro patogeni esterni.
Nel nuovo studio si chiarisce che sono due i meccanismi di origine genetica che azzoppano gli interferoni: uno è, appunto, la presenza pregressa nel 10-15% dei pazienti gravi, di autoanticorpi che li neutralizzano (questi autoanticorpi sono più comuni negli uomini, più interessati da forme gravi di covid, e negli over 70). Il secondo fattore che riguarda una percentuale più piccola di pazienti è costituito da alcuni errori innati di immunità già noti per predisporre alle forme letali di influenza e che portano appunto una riduzione nella produzione originaria di interferone.
Indisturbato. «Il virus SARS-CoV-2 entra dalle vie nasali e orali ed è a livello di queste mucose che inizia la produzione di interferone di tipo I», aveva spiegato qualche tempo fa Giuseppe Novelli a Osservatorio Malattie Rare. «Esso costituisce la prima linea di difesa, precedente a quella degli anticorpi, che richiedono giorni per esser prodotti. Abbiamo osservato che nelle persone colpite dalla forma grave di CoViD-19 è proprio l'immunità innata ad essere danneggiata, con una riduzione nella produzione di interferone.
»
Giorni persi. Insieme, questi due fattori di natura genetica (errori innati di immunità e autoanticorpi), arrivano a spiegare fino al 20% delle forme critiche di covid. Le persone con livelli insufficienti di interferone di tipo 1 nell'epitelio respiratorio, scrivono i ricercatori su Nature, potrebbero essere incapaci di prevenire la diffusione del virus nei polmoni, nel sangue e negli altri organi nei primi giorni dell'infezione. L'infiammazione potrebbe svilupparsi quando i leucociti si attivano e provano a risolvere l'infezione polmonare e sistemica che si è sviluppata a causa della mancanza di controllo dell'interferone di tipo 1. Ma a quel punto intervenire con i farmaci è inefficace.
Che ruolo hanno i geni nello sviluppo delle forme più gravi di covid? «I virus, come altri agenti patogeni, sono necessari, ma non sufficienti, per innescare la malattia - spiega Giuseppe Novelli - appare quindi evidente che il genoma dell'ospite gioca un ruolo fondamentale non solo nella suscettibilità alla malattia indotta dall'agente infettivo, ma anche nella risposta individuale in termini di gravità del fenotipo o resistenza all'infezione. Negli ultimi due anni sono stati identificati numerosi geni ospiti attivi nella suscettibilità/resistenza alle malattie infettive. L'identificazione e la qualificazione di questi geni come biomarcatori prognostici e predittivi è fondamentale per ottimizzare la gestione del paziente e promuovere interventi di salute pubblica sostenibili e razionali. Inoltre, contribuiscono a chiarire i meccanismi e la variabilità delle interazioni ospite-patogeno SARS-CoV-2».
Che cosa succede in caso di infezione? «Le infezioni virali sono prontamente rilevate dalle cellule infette che attivano immediatamente la produzione di proteine antivirali intracellulari e la secrezione di citochine, in particolare di interferoni di tipo I e di tipo III (IFN) che a loro volta inducono la trascrizione di centinaia di geni interconnessi nel circuito dell'interferone. Diversi studi clinici e immunologici hanno dimostrato che gli interferoni di tipo I (IFN-I) svolgono ruoli critici nel controllo e nella patogenesi di COVID-19. Noi abbiamo trovato mutazioni rare in circa il 3-5% dei pazienti affetti da forme gravi di COVID-19 nei geni che codificano per proteine attive nel circuito dell'interferone. Inoltre in un altro gruppo abbiamo individuato la presenza di autoanticorpi in grado di neutralizzare l'IFN-I nel 10-15% dei pazienti gravi. Quindi possiamo concludere che nel 20% dei pazienti gravi di COVID-19 c'è un difetto di interferone: o perché non viene prodotto o perché viene eliminato dagli autoanticorpi!».
Che cosa c'entra tutto questo con l'immunità naturale? «Tutti gli organismi metazoici (pluricellulari e con cellule differenziate, ndr) hanno sviluppato un sistema immunitario complesso, con sistemi di difesa usati per respingere i microbi invasivi. Questi sistemi immunitari sono straordinariamente efficaci e complessi: dal punto di vista biologico può essere considerata il tipo più importante di immunità. La maggior parte degli organismi sopravvive solo attraverso meccanismi immunitari innati; pensiamo ad esempio ai pipistrelli, che tollerano molto bene tutti i coronavirus. Solo i vertebrati hanno sviluppato un sistema alternativo, la cosiddetta immunità adattativa - quella che produce anticorpi dopo la stimolazione di un virus, o di parti esso, come un vaccino. L'immunità innata è stata studiata per oltre 100 anni. Ma solo il progresso della genetica e della biochimica ha permesso, negli ultimi 15 anni, di comprendere alcuni dei complessi meccanismi attivi in questo processo. L'immunità innata continua a sorprenderci. Infatti nel CoViD-19 le mutazioni di questi geni hanno permesso di dimostrare che alla base della covid in almeno il 20% dei pazienti gravi vi è una interferonopatia!».
Una nuova comprensione della malattia. Tra le prospettive più interessanti aperte dalla ricerca c'è lo screening genetico dei pazienti per scoprire se presentino queste caratteristiche e se debbano, per esempio, essere vaccinati in via prioritaria perché più a rischio di complicanze gravi (per avere un aiuto in più dall'immunità adattiva o specifica, quella basata stimolata dai vaccini).
Ma la scoperta apre anche la strada allo studio delle cause del rimanente 80% di casi gravi, che potrebbe per esempio essere legato ad altre caratteristiche genetiche che regolano l'immunità innata - quella immediata e aspecifica, che tratta tutti gli invasori allo stesso modo. Infine, lo studio potrebbe aiutare a comprendere le basi dell'immunità naturale al virus, ossia la capacità di alcuni individui di evitare l'infezione pur essendo esposti al contagio, o di contrarla in via del tutto asintomatica.
Gli interferoni fanno parte della grande famiglia delle citochine, molecole che con la loro diffusione permettono la comunicazione a distanza tra cellule. Si chiamano così perché si formano per interferenza reciproca tra il virus e la cellula. Quando una cellula è colpita da un virus, probabilmente stimolata dall'acido nucleico del virus stesso, produce l'interferone e lo cede alle cellule vicine, al sangue e alla linfa. Stimolate dall'interferone, le cellule producono enzimi che entrano in azione contro il virus non appena questo le raggiunge. Sono stati individuati vari tipi di queste proteine: gli interferoni alfa, beta e gamma che sono stati divisi in due classi, tipo I e tipo II. La divisione è basata sul tipo di cellule che producono l'interferone e sulle sue caratteristiche. Gli interferoni di tipo I (alfa e beta) sono prodotti da quasi tutte le cellule stimolate da un virus e hanno la funzione di indurre la resistenza cellulare all'invasore. Quelli di tipo II (sono soltanto i gamma) sono secreti dalle cellule killer e dai linfociti T e hanno il compito di segnalare al sistema immunitario di reagire ad agenti infettivi o alla crescita di un tumore.