Martedì 15 marzo la Cina ha registrato 5.280 nuovi casi di covid, più del doppio del giorno precedente e - anche se i numeri sono inferiori a quelli attuali nella sola Regione Lombardia - il totale più elevato dall'inizio della pandemia, dopo due anni trascorsi praticamente liberi dal coronavirus. La strategia "zero covid dinamica", che cerca di spegnere i focolai di covid non appena si presentano con lockdown immediati e screening di massa, non sembra funzionare contro varianti altamente trasmissibili come Omicron BA.2, responsabile della maggior parte dei contagi.
Terapia d'urto. Almeno 13 città in varie parti della Cina si trovavano in pieno lockdownda martedì 15 marzo, e per città si intende metropoli sconfinate come Shenzhen, hub tecnologico meridionale con 17,5 milioni di abitanti. Attualmente sarebbero sottoposti alle massime restrizioni nei movimenti 30 milioni di persone, con la situazione più grave, per numero di contagi, nella provincia nordorientale cinese dello Jilin: qui gli oltre 3.000 nuovi casi giornalieri di covid hanno costretto in casa i 9 milioni di abitanti della capitale della provincia, Changchun.
Fragili meno protetti. Le autorità sanitarie della Cina hanno chiesto a tutti gli over 60 di sottoporsi alla terza dose di vaccino: in questa fascia di popolazione l'80% ha ricevuto una doppia dose di uno dei due vaccini cinesi a virus inattivato Sinovac e Sinopharm. La popolazione anziana, più vulnerabile alle conseguenze gravi di covid, era stata lasciata per ultima nella campagna vaccinale, perché si è scelto di vaccinare prima le classi lavoratrici.
Nelle intenzioni del governo centrale, la strategia di tolleranza zero dei contagi doveva servire a guadagnare tempo per vaccinare il maggior numero possibile di persone e puntare all'immunità di gregge. Il problema è che i vaccini cinesi non sono particolarmente efficaci nella prevenzione dei casi sintomatici: Sinovac offre una copertura del 51% contro il 92% di Pfizer, e risulta ancor meno utile contro la variante Omicron.
Il dramma di Hong Kong. Ma a preoccupare è soprattutto la situazione a Hong Kong, travolta dallo tsunami Omicron con un totale di 733.000 casi - 26.000 nuovi casi al giorno su una popolazione di 7,2 milioni di abitanti, e un tasso di mortalità che è il più alto mai raggiunto in un Paese industrializzato (peggiore persino di quello dell'Italia settentrionale nella prima ondata di covid). All'inizio di marzo a Hong Kong, circa 1 persona su 20 tra i malati di covid moriva per l'infezione due settimane più tardi: una letalità maggiore di quella toccata a Londra ad aprile 2020, quando ancora non c'erano i vaccini.
Solo nelle ultime settimane si sono contati più di 3.000 morti per covid, per lo più nella popolazione anziana, e il motivo è purtroppo lampante: per scelte analoghe a quelle cinesi sulle fasce di popolazione da vaccinare per prime, solo il 53% degli over 80 è vaccinato, e la maggior parte degli anziani ha ricevuto il vaccino Sinovac, meno efficace di Pfizer nel prevenire l'infezione con sintomi.
primo incontro. In una regione amministrativa speciale a "Zero covid" che aveva controllato la pandemia così bene in passato, anche grazie all'esperienza accumulata con la SARS, il virus nella nuova variante ha trovato una popolazione quasi completamente vulnerabile, senza difese. E ha portato al rapido collasso del sistema sanitario, del personale medico e della gestione dei deceduti, con situazioni limite negli ospedali e negli obitori che purtroppo ci sono familiari.
Quello che succede a Hong Kong conferma che, se è vero che Omicron sembra dare una malattia più lieve rispetto alle altre varianti, probabilmente per caratteristiche intrinseche del virus, questo calo di gravità risulta tuttavia del tutto annullato se il virus incontra una popolazione anziana praticamente senza anticorpi.