L'emergenza covid in Cina ha riacceso le preoccupazioni circa la possibile comparsa di nuove varianti diverse da Omicron. Il Paese che ha deciso per il "liberi tutti" dopo tre anni di strategia zero-covid è ora travolto da un milione di nuovi contagi e almeno cinquemila decessi accertati al giorno.
La pandemia ci ha insegnato che difficilmente ciò che accade in una parte di mondo rimane a lungo in quei confini. Come ci proteggeremo dal SARS-CoV-2 nel prossimo anno? Il 2023 consegnerà all'umanità nuovi vaccini anti-covid? Probabilmente no.
Nessuna rivoluzione in vista. Data la diffusione capillare del nuovo coronavirus avremo bisogno di immunizzarci dalla covid per molti anni ancora, ma i prossimi mesi non vedranno arrivare importanti novità sul fronte della prevenzione.
Dovremo continuare a usare i già ottimi vaccini di cui disponiamo e migliorare la loro distribuzione, dato che poco meno di un terzo della popolazione globale non ne ha ancora ricevuto neanche una dose.
MENO VACCINI. Nel 2023 potremo inoltre contare su meno dosi di vaccini: stando alle stime della compagnia di analisi statistiche britannica Airfinity, le vendite di preparati anti-covid sono calate globalmente dalle 5,7 miliardi di dosi del 2021 alle 3 miliardi di dosi del 2022, fino a 1,6 miliardi di dosi per il 2023. Perché?
Almeno prima della drammatica impennata di contagi in Cina, la situazione era percepita come meno urgente. Restano fuori dal computo i Paesi che producono i propri vaccini, come la Cina appunto, che seppur con formulazioni meno efficaci mira a incrementare la copertura vaccinale della sua popolazione anziana, ferma al 40%.
Nuove versioni di quel che c'è già. Come spiegato dal New Scientist, nel resto del mondo Pfizer/BioNTech e Moderna continueranno a dominare il mercato con l'ultima versione dei loro booster, che prende di mira le proteine spike della versione originale del virus e di due sottovarianti di Omicron.
A seconda delle varianti che emergeranno è possibile che questi vaccini vengano di nuovo aggiornati in previsione della campagna di immunizzazione del prossimo autunno, ma non assisteremo ad altri grossi cambiamenti.
A che cosa si lavora. Al momento ci sono 50 vaccini anti-covid approvati nel mondo e 250 in fase di test in circa 80 Paesi. Un possibile nuovo approccio prevede di creare un vaccino in grado di fornire una protezione più ampia contro molte potenziali varianti.
Pfizer ne sta sperimentando uno che dovrebbe sollecitare una risposta da parte delle cellule T contro diverse proteine del coronavirus, e non solo una reazione degli anticorpi alla proteina spike.
Le cellule T di solito forniscono una protezione più ampia e duratura rispetto agli anticorpi, ma difficilmente questo vaccino sarà approvato in tempi brevi.
Bloccato nel naso. Un secondo approccio mira invece a ostacolare la trasmissione del virus bloccandolo a livello delle mucose delle prime vie respiratorie, per esempio con vaccini intranasali. Per ora ne sono stati approvati quattro tra Cina, India, Iran e Russia, sui quali non esiste ancora molta letteratura scientifica.
Una versione spray del vaccino di Oxford è stata testata nel Regno Unito senza successo, ed è improbabile che in Europa e Stati Uniti possa arrivare un vaccino anti-covid intranasale nel 2023.
Perché si va a rilento? Passata l'emergenza pandemica in senso stretto le procedure di approvazione dei farmaci sono tornate ai tempi standard; inoltre, avendo già vaccini molto efficaci contro ricovero e malattia grave, i nuovi candidati che si affacciano sul mercato devono dimostrare di essere migliori di quelli in commercio. Insomma le procedure di approvazione di nuovi preparati, giunti a questo punto, si fanno più complesse.