Era il 1897 quando il batteriologo tedesco Carl Flügge dimostrò che le malattie si diffondevano per via aerea soprattutto attraverso le goccioline (droplets) respiratorie; negli anni Trenta del secolo successivo, William F. Wells andò oltre questa iniziale spiegazione, distinguendo tra goccioline "grandi" e "piccole". Secondo l'esperto, le prime si depositavano sulle superfici prima di evaporare; le seconde, invece, evaporavano prima di depositarsi, e si seccavano formando dei nuclei di goccioline (in inglese droplets nuclei) o aerosol.
Modello superato. Ancora oggi, per stabilire le strategie da adottare contro la diffusione di un'infezione (come nel caso della CoViD-19), utilizziamo il modello di Wells, che secondo uno studio del MIT (USA) pubblicato su Jama Network sarebbe superato e impreciso: «utilizzare la classificazione arbitraria goccioline piccole/goccioline grandi non riflette in modo preciso ciò che realmente accade durante le emissioni respiratorie», spiega Lydia Bourouiba, capo dello studio.
Il lungo viaggio delle goccioline. Quando espiriamo, starnutiamo o tossiamo, si forma una nuvola di gas che trasporta goccioline di varia grandezza (qui il video esplicativo). L'atmosfera localmente umida e calda all'interno della nuvola permette alle goccioline di resistere molto a lungo, prima di evaporare. La vita di una droplet sarebbe quindi fino a 1000 volte più lunga di quanto finora stimato: una gocciolina potrebbe resistere nell'aria da una frazione di secondo a diversi minuti.
Le goccioline, intrappolate nella nuvola di gas, arriverebbero quindi molto lontano, raggiungendo addirittura i 7-8 metri di distanza. Non dimentichiamo che, quando parliamo di goccioline respiratorie, ci riferiamo a tutto quello che contengono – compresi i patogeni. Lungo la traiettoria, in base al grado di turbolenza, alla velocità della nuvola e alle condizioni ambientali di temperatura, umidità e flusso d'aria, le goccioline si depositano, contaminando le superfici, o evaporano, producendo aerosol che può rimanere in sospensione nell'aria per diverse ore.
Stime al ribasso. Nonostante non siano ancora stati effettuati studi approfonditi sul tema, uno studio recente sulla diffusione del virus attraverso l'aerosol prodotto quando espiriamo suggerisce che questo scenario potrebbe applicarsi anche alla diffusione di SARS-CoV-2, il virus che causa la CoViD-19. Se così fosse, le attuali raccomandazioni per minimizzare il rischio di contagio (mantenere una distanza di un metro, per la OMS, e di due metri, per i CDC, da una persona sintomatica) sarebbero insufficienti. Questi consigli infatti sottostimerebbero la distanza (7-8 metri), la velocità (10-30m/s) e la persistenza del carico patogeno trasportato dalla nuvola di gas.