Da dicembre 2019 abbiamo imparato molte cose, sulla CoViD-19. Tuttavia, dopo quasi un anno e mezzo e oltre tre milioni di morti nel mondo per l'infezione da SARS-CoV-2, sono ancora moltissime le incognite su questo nuovo patogeno e sugli effetti sul nostro organismo. Il sito di salute STAT ha raccolto le domande che più di tutte interrogano la comunità scientifica: se la ricerca riuscirà a rispondere anche soltanto a qualcuno di questi dilemmi, potremo migliorare notevolmente la cura e la sopravvivenza alla malattia da nuovo coronavirus.
Da che cosa dipende la diversa risposta al virus? Perché alcune persone sono positive senza essersene accorte, mentre altre finiscono in terapia intensiva? Perché ci sono pazienti che guariscono completamente e altri, reduci peraltro da forme lievi di CoViD-19, che accusano sintomi debilitanti per mesi? La scienza non ha ancora determinato quali condizioni individuali pesino sul decorso della malattia, ma la risposta individuale al virus è, secondo alcuni scienziati, il principale fattore che determina la gravità dell'infezione.
Altre variabili convincono meno: la quantità di virus a cui si è esposti non sembra, nei modelli animali, avere il peso che le si attribuiva all'inizio; e se è vero che malattie pregresse come il diabete sono fattori di rischio per forme gravi di covid, ci sono anche persone perfettamente sane che finiscono per ammalarsi seriamente. Scoprire come mai alcuni sistemi immunitari rispondano meglio di altri potrebbe cambiare le sorti della cura della CoViD-19.
Quale livello di immunità è sufficiente a proteggere? Esiste un livello base di anticorpi che basti a respingere l'attacco del SARS-CoV-2? Se si riuscisse a determinarlo si potrebbe verificare con un esame del sangue chi è sufficientemente protetto e chi invece ha bisogno di un richiamo immunitario. Ma potrebbe non esserci alcun "numero magico" da tenere d'occhio, perché la risposta immunitaria è complessa e strettamente legata anche ad altri fattori fisiologici individuali.
A parità di anticorpi una persona potrebbe rispondere alla minaccia di infezione meglio di un'altra (e forse proprio da questo dipende la variabilità nel decorso della malattia). Se aggiungiamo che questa popolazione parzialmente immune potrebbe continuare a trasmettere l'infezione senza accorgersene, ecco che si comprende la necessità di chiarire quale componente del sistema immunitario si debba misurare e come interpretarla.
Quanto sono frequenti le reinfezioni, e quanto gravi? Le reinfezioni da CoViD-19 sono rare ma, sappiamo, possibili. Quante volte e a quanta distanza si possono verificare? Se accade, sono più leggere? Qual è l'impatto delle varianti su queste ricadute? Sono domande che avranno conseguenze importanti sulla futura convivenza col virus, come spiega a STAT Paul Bieniasz, a capo del laboratorio di retrovirologia della Rockefeller University (USA).
«Ci avviamo verso una situazione simile a quella che accade con i coronavirus stagionali, dove il virus e le reinfezioni sono comuni ma associati soltanto a malattia lieve - con le reinfezioni periodiche che rinnovano l'immunità - oppure, l'infezione in chi ha un'immunità "calante" sarà associata a un costo inaccettabile della malattia, e richiederà una battaglia costante, con l'aggiornamento dei vaccini per mantenere bassa la prevalenza virale»?
Quanto dura l'immunità? La domanda è legata alla precedente, e la risposta potrebbe dirci quanto sia plausibile raggiungere l'immunità di gregge e quanto ci sia bisogno di richiami vaccinali. Ma la soluzione al dilemma sull'immunità al coronavirus rischia di essere più complessa di come ce la prefiguriamo. Per esempio dopo un episodio di CoViD-19 la protezione dall'infezione potrebbe durare poco, ma si potrebbe essere protetti più a lungo dalla malattia grave. Oppure la protezione offerta dai vaccini potrebbe avere una durata diversa da quella conseguente a un'infezione naturale.
Che peso avranno le varianti nella lotta contro il virus? Una domanda semplice, ma determinante: quale impatto avranno le varianti di SARS-CoV-2 nel rendere il virus capace di eludere la protezione fornita dagli anticorpi sviluppati grazie ai vaccini? Riusciremo a riportare la situazione sotto controllo con l'attuale generazione di vaccini?
Che cos'è il long covid? Si può prevenire? E chi rischia di più di contrarlo? Una percentuale rilevante di pazienti covid (circa il 10% di chi si ammala, secondo le stime più conservative) riporta strascichi di sintomi debilitanti dopo diversi mesi dalla guarigione ufficiale. Che cosa determini questa condizione, che gli esperti hanno denominato PASC (post-acute sequelae of SARS-CoV-2 infection) è un mistero. Ma poiché altre sindromi croniche sono scatenate da infezioni virali, «penso che abbiamo un'opportunità unica di capire una volta per tutte in che modo un'infezione virale acuta può portare a sintomi a lungo termine» suggerisce Akiko Iwasaki, virologo e immunologo dell'Università di Yale, «così da mettere a punto migliori terapie contro questa debilitante condizione e potenzialmente contro altre sindromi da fatica cronica indotte da virus».
Che cosa ci sfugge su covid e bambini? Finora la maggior parte delle ricerche su covid e bambini si è concentrata sulle infezioni sintomatiche - che, sappiamo, soprattutto nei bambini più piccoli, risolversi in forme lievi, salvo rare complicazioni. Ma un altro tema interessante riguarda le forme asintomatiche.
I bambini positivi asintomatici riescono comunque a trasmettere il virus? E con quale frequenza?
A proposito di asintomatici. Che ruolo hanno nella trasmissione della malattia? Il fatto che si sia in grado di trasmettere la CoViD-19 anche un paio di giorni prima dell'esordio dei sintomi è stato una delle chiavi del successo globale del virus. Ma quanto sono infettivi gli asintomatici? È difficile riuscire a individuare i positivi asintomatici all'inizio del contagio e seguirli per l'intero decorso della malattia. I pochi studi concentrati su questo stanno cercando di capire se le tracce di coronavirus rilevate dai tamponi molecolari negli asintomatici siano effettivamente anche contagiose, quanto, e per quanto tempo.
Quanti altri assi nella manica ha ancora il SARS-CoV-2? «Ci sono all'orizzonte molte altre mutazioni di grande effetto, che potrebbero cambiare in modo significativo la trasmissione del virus, o le mutazioni future causeranno soltanto piccoli passi ulteriori verso un virus endemico?», si chiede Emma Hodcroft, epidemiologa dell'Institute of Social and Preventive Medicine di Berna. Inoltre: quali saranno le pressioni evolutive sul virus, mano a mano che l'immunità data da infezioni e vaccini aumenta? E come reagirà il patogeno, per continuare la sua opera di diffusione? Queste domande si condensano in un inquietante: come passerà il prossimo autunno?
Che cosa fa di una persona un superdiffusore? Anche se gli esperti preferiscono parlare di eventi superdiffusori anziché di individui, la sostanza è che come per i coronavirus di SARS e MERS, anche per il SARS-CoV-2 il grosso della trasmissione avviene attraverso un ristretto numero di persone - meno del 20% di coloro che sono contagiati. Capire che caratteristiche abbiano le persone che contagiano di più, o che tipo di eventi favorisca la diffusione potrebbe servire a concentrare gli sforzi di prevenzione solo sulle interazioni più a rischio e allentare le misure sul resto.
Ma non è per niente facile. I virus isolati dai superdiffusori non sono diversi nella sequenza genetica, non sono legati a una maggiore gravità della malattia, non provengono da persone di genere, età o con patologie specifici.
È possibile capire subito dalla sequenza genetica in che direzione sta andando il virus? Quando il profilo genetico del SARS-CoV-2 mostra una recente acquisizione di nuovi gruppi di mutazioni, si parla di "varianti di interesse". Solo se il virus con queste caratteristiche si mostra più pericoloso, per esempio perché si diffonde più facilmente, queste varianti diventano VOC (Variants of concern), sorvegliate speciali perché motivo di preoccupazione.
Diventeremo in grado di capire da subito, semplicemente osservando le caratteristiche genetiche, se una mutazione altererà il corso della pandemia - senza dover aspettare i riscontri epidemiologici?
Qual è stato l'impatto degli interventi non farmacologici? Il distanziamento sociale ha un'efficacia evidente nel ridurre la diffusione del SARS-CoV-2. Ma dove serve di più? Dove è più conveniente, considerando che porta con sé importanti conseguenze sociali ed economiche? Fin qui lo abbiamo applicato in modo massiccio e senza troppo differenziare, e questo fa sì che le decisioni sulla sua applicazione o riduzione siano sempre o troppo impopolari o molto azzardate.
Nei Paesi più avanti con la campagna vaccinale sta emergendo anche un'altra domanda: che livello di trasmissione del virus possiamo aspettarci, in una popolazione in gran parte vaccinata, se si tolgono alcuni degli interventi non farmacologici? È quello che sta per esempio cercando di capire Israele, che sta rimuovendo le precedenti misure di contenimento per gradi, in modo da misurarne gli effetti. Del resto alcuni Paesi, come Corea del Sud, Giappone, Australia, Nuova Zelanda, sono riusciti a garantire una vita quasi normale durante la pandemia ben prima dei vaccini, implementando in modo intelligente gli interventi non farmacologici.
Che differenza c'è tra SARS-CoV-2 e SARS-CoV? Il coronavirus della CoViD-19 sembra aver imparato alcuni trucchi che il coronavirus della SARS ignorava. Riesce per esempio a replicarsi nelle alte vie respiratorie, a differenza del suo predecessore, che si moltiplicava in profondità nei polmoni: per questo le persone contagiate trasmettevano il virus soltanto quando stavano davvero molto male (e questo evitò una pandemia su più larga scala). Invece chi è affetto da CoViD-19 riesce a contagiare gli altri anche solo parlando, e persino se ha la malattia in forma asintomatica. Che cosa è cambiato in questo coronavirus, per renderlo capace di tutto questo? E come ci riesce, considerando che entrambi i virus attaccano gli stessi recettori cellulari ACE-2?
Infine - e all'inizio di tutto - da dove arriva il SARS-CoV-2? L'origine è stata quasi sicuramente in un pipistrello, ma in quali circostanze è avvenuto il salto di specie? Non è una semplice questione di curiosità, ma un'informazione indispensabile per prevenire prossime pandemie. Purtroppo, più aumenta la distanza temporale con l'inizio della pandemia (i primi casi in Cina risalirebbero all'autunno 2019), più è difficile che quella risposta arrivi.