Se non fosse stato per quella data - 15 agosto 2020 - la lettera inviata a una serie di ospedali dal Consiglio Indiano di Ricerca Medica (ICMR), l'istituzione che guida la risposta del Paese alla pandemia di covid, sarebbe rimasta una comunicazione ad uso interno. Ma poiché quella data, la stessa in cui si celebra il Giorno dell'Indipendenza dell'India, viene definita il termine ultimo per il lancio per uso pubblico del vaccino anti-covid, il documento ha suscitato un pandemonio, e la presa di distanza dell'intera comunità scientifica del Paese.
appena all'inizio. Il candidato vaccino al centro delle polemiche si chiama Covaxin ed è stato sviluppato dall'azienda indiana Bharat Biotech in collaborazione con l'ICMR. È un vaccino inattivato, ottenuto usando frammenti di SARS-CoV-2 incapaci di infettare o replicarsi, ed ha proprio in questi giorni ottenuto il via libera per i test di Fase 1 e di Fase 2 su un totale di poco più di un migliaio di persone. Il vaccino ha da poco superato con successo la sperimentazione su modelli animali; queste prime due fasi dei trial farmacologici serviranno per assicurarsi che sia sicuro e ben tollerato, per determinare il dosaggio ideale e per capire se riesca a sollecitare una qualche risposta immunitaria.
Se le Fasi 1 e 2 dovessero dare risultati incoraggianti, si passerebbe ad estendere i test su un numero più ampio di partecipanti. Come spiegato su Science, anche quando procedono a ritmo spedito, questi due passaggi richiedono come minimo 5 mesi. La durata della Fase 3 (in cui si valuta la reale efficacia del vaccino) varia anche in base ai soggetti coinvolti, che in India, terzo Paese per numero di casi dopo Stati Uniti e Brasile, non mancheranno di certo. Ma anche così servirebbero almeno altri 6 mesi. Per testare un vaccino occorre muoversi in un'area in cui il virus è ancora attivo e aggressivo, per essere sicuri che i soggetti abbiano possibilità di contatto con il patogeno. Comunque, i test farmacologici non possono esimersi dal rispetto di rigidi standard di sicurezza.
Uno specchietto per le allodole. Nella lettera inviata il 2 luglio si chiede ai 12 istituti selezionati per condurre i trial del vaccino sull'uomo di «accelerare ogni processo di approvazione» ed arruolare i partecipanti entro 5 giorni. Il vaccino viene definito «la priorità principale del governo» e la non conformità alle richieste avanzate «sarà considerata - si legge - molto seriamente». Se la scadenza del 15 agosto 2020 non fosse stata aggiunta, il documento sarebbe stato letto come uno dei tanti tentativi in corso di accelerare la conquista di un vaccino contro il coronavirus SARS-CoV-2.
Ma dato il valore simbolico di quel giorno, sono in molti a vedere in questo termine uno strumento di propaganda politica.
Secondo gli scienziati che all'unanimità hanno criticato questa mossa, quanto accaduto rischia di minare la credibilità della ricerca nel Paese: è ovvio che non è possibile fissare la data di disponibilità di un vaccino prima ancora di aver iniziato i trial clinici di Fase 1, considerando che di norma, solo il 15-20% dei vaccini che approdano ai test clinici avrà successo. Altri hanno scelto la strada dell'ironia, commentando che forse c'è un refuso nell'anno: intendevano 15 agosto 2021?