Salute

CoViD-19: 5 fattori che rendono improbabile l'immunità di gregge

L'immunità di gregge non è la sola strada per uscire dalla pandemia: ridurre al minimo decessi e ricoveri è un obiettivo più realistico (e vicino).

L'idea che abbastanza persone sviluppino l'immunità al coronavirus SARS-CoV-2 per bloccarne definitivamente la trasmissione - il principio cioè dell'immunità di gregge - sta cominciando ad apparire sempre più improbabile. È perciò una fortuna che l'immunità di gregge non sia la sola strada che abbiamo per lasciarci alle spalle la pandemia.
 
Un altro, più realistico modo di tornare alla normalità, che passa necessariamente per i vaccini, è puntare a ridurre al minimo le morti e i ricoveri ospedalieri per covid. In altre parole, costruire un futuro in cui il virus continui a circolare in forma più lieve, senza il carico di perdite che ha provocato finora.

Prima che entrassimo nel secondo anno di pandemia, la soglia fissata per l'immunità di gregge corrispondeva al 60-70% di popolazione vaccinata. Ora che abbiamo toccato con mano tempi e problemi delle campagne vaccinali, alcuni scienziati invitano a rivedere le aspettative: anziché puntare all'immunità di gregge, dovremmo aspirare al ritorno alla normalità. Se vi sembra una visione troppo cinica, ecco spiegato in cinque punti perché è improbabile riuscire a bloccare del tutto la circolazione del nuovo coronavirus. E come in ogni caso, grazie ai vaccini, potremo riconquistare gradualmente a una vita normale.

1. Non è ancora chiaro in quale misura i vaccini impediscano la trasmissione.
A questo punto della campagna vaccinale non è ancora possibile stabilire se i vaccini anti-covid offrano un'efficacia sterilizzante, ossia se oltre a impedire il contagio sintomatico blocchino anche quello asintomatico. Se non ci riuscissero, i vaccinati potrebbero trasmettere in modo inconsapevole il virus ai non vaccinati. Dai vaccini a mRNA di Pfizer e Moderna arrivano segnali incoraggianti, ma è troppo presto per trarre conclusioni.
 
L'immunità di gregge è raggiungibile soltanto con un vaccino che blocchi anche la trasmissione, se non completamente, almeno in larga parte (il 70% sarebbe già un dato entusiasmante, come spiegato in un articolo su Nature).

2. I vaccini non sono distribuiti in modo equo.
La somministrazione dei vaccini anti-covid sta mostrando profonde disuguaglianze sia tra Paesi industrializzati e Paesi in via di Sviluppo, sia all'interno dei singoli Paesi, a livello regionale, anagrafico, sociale. Queste disuguaglianze non sono soltanto un problema etico, ma influiscono sulla nostra capacità di eradicare il virus. Una campagna vaccinale perfettamente coordinata avrebbe rapidamente cancellato il virus e limitato la diffusione di nuove varianti. Le somministrazioni a macchia di leopardo potrebbero dar luogo a tasche di popolazione in cui la covid continua a circolare a ritmo sostenuto.

3. La diffusione di nuove varianti cambia la soglia dell'immunità di gregge.
Come si è visto chiaramente nel caso di Manaus, in Brasile, l'emergere di varianti di SARS-CoV-2 più resistenti ai vaccini o agli anticorpi di precedenti infezioni rischia di farci riporre eccessive speranze nella protezione offerta dall'immunità di gregge. Nella città dell'Amazzonia si pensava che il 60% della popolazione avesse contratto la covid entro luglio 2020. La diffusione della variante P.1 ha portato a una devastante terza ondata pandemica, in cui la totalità dei nuovi casi era riconducibile alla nuova versione del patogeno e numerosi guariti sono stati contagiati di nuovo.
 
Quella che stiamo affrontando nella campagna vaccinale è una corsa contro il tempo. Dobbiamo riuscire a immunizzare gran parte della popolazione prima che il coronavirus evolva resistenza ai vaccini attualmente disponibili, un'eventualità che si fa più probabile a mano a mano che, con l'aumento dei vaccinati, cresce anche la pressione selettiva sul virus a cambiare, per continuare a circolare con successo.

4. L'immunità potrebbe non durare per sempre.
L'immunità di gregge si basa su due "conteggi", quello dei vaccinati e quello delle persone guarite dall'infezione. Sappiamo che con il tempo, gli anticorpi neutralizzanti anti-covid calano in chi ha superato l'infezione, e può darsi che anche i vaccini abbiano bisogno di richiami periodici. A ciò si aggiunga che neanche i vaccini più efficaci garantiscono il 100% di efficacia di protezione contro la malattia sintomatica (anche se tutti i vaccini anti-covid proteggono completamente dalle forme più gravi della malattia).

5. I vaccini spingeranno a cambiare comportamenti.
Con l'aumento della popolazione vaccinata aumenteranno le interazioni sociali; ma è chiaro fin d'ora che per interrompere le catene di trasmissione dovremo continuare per qualche tempo a mantenere le misure che ci hanno protetto finora, come mascherine e distanziamento fisico. Un esempio di quello che riusciremo a fare integrando anche il nostro comportamento nella lotta al virus è fornito dall'influenza, «che probabilmente non è meno trasmissibile della CoViD-19», ha spiegato a Nature l'infettivologo Samuel Scarpino: «quasi certamente, il motivo per cui l'influenza non si è presentata quest'anno è perché tipicamente il 30% della popolazione è immune poiché infettata l'anno precedente, e con i vaccini si copre un altro 30%. Se si aggiungono mascherine e distanziamento, l'influenza non ce la fa».

Per tutti questi motivi, bloccare del tutto la trasmissione del SARS-CoV-2 è un'impresa molto ardua.

Ma con i vaccini riusciremo a ridurre l'impatto più drammatico della pandemia, salvando vite umane e prevenendo le forme gravi di infezione. Il virus continuerà probabilmente a circolare come un patogeno endemico, a bassa diffusione e in modo meno pericoloso. 

23 marzo 2021 Elisabetta Intini
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