Circoscrivere i focolai di COVID-19: Hong Kong e Singapore - non c'è dubbio - lo stanno facendo meglio. E i Paesi occidentali che sfiniti dalla quarantena provano a guardare avanti, senza essersi ancora lasciati alle spalle l'emergenza, dovrebbero provare ad approfondire questi modelli di gestione della pandemia. Un articolo pubblicato su Science descrive l'approccio utilizzato dalle due città asiatiche, caratterizzato da brevi lockdown alternati a momenti di maggiore libertà, insieme a una capillare azione per identificare e isolare i contagi. Una strategia che, secondo gli esperti, potrebbe essere la più efficiente e sopportabile, per impostare la "convivenza armata" con il coronavirus.
Far tesoro dell'esperienza. Nella gestione dell'emergenza da COVID-19, Hong Kong e Singapore sono partite avvantaggiate. Hanno fatto tesoro dei piani anti pandemia sviluppati nel 2003, quando furono colpite dalla SARS; hanno un territorio circoscritto con pochi confini di terra, che rende più semplice controllare i movimenti in entrata e in uscita, e hanno una gestione singola e centralizzata che evita i dissidi tra governi e autonomie che si osservano per esempio in Italia, Spagna e Stati Uniti. Soprattutto, entrambe le realtà asiatiche nutrono, da tempo, una grande fiducia nella scienza: la cultura scientifica è consolidata e presente in ogni decisione politica (lo è sempre e non solo ora per una scelta di comodo).
Sorveglianza sul territorio. In entrambe le città, i medici possono ordinare tamponi per i sospetti pazienti con COVID-19 basandosi esclusivamente sulle proprie valutazioni cliniche. A Hong Kong sono stati eseguiti circa 13.800 test per milione di abitanti, a Singapore 12.800: si tratta di alcune delle più alte percentuali di test al mondo, in rapporto al numero di contagiati (anche in Italia siamo a circa 12.000 test per milione di abitanti, ma abbiamo riportato molti più casi e un tasso di letalità del 12,5% che fa pensare a un alto numero di sommersi; inoltre, nel computo dei tamponi "nostrani" sono inclusi quelli di verifica per i pazienti guariti).
Sia ad Hong Kong, sia a Singapore, i pazienti positivi sono ricoverati in ospedale indipendentemente dalla gravità dei sintomi, per evitare contagi familiari. I contatti ravvicinati di tutte le persone infette, e chi fosse recentemente rientrato dall'estero, devono restare in quarantena domiciliare per due settimane. A Hong Kong, chi è in quarantena deve indossare un braccialetto elettronico collegato allo smartphone che fornisce informazioni sui propri movimenti; a Singapore, si deve rispondere a SMS sulla propria posizione diverse volte al giorno.
Nessuna chiusura perpetua. Queste misure attente su chi è stato contagiato hanno permesso di tenere da subito sotto controllo l'epidemia evitando una crescita esponenziale dei contagi, e di imporre misure meno restrittive al resto della popolazione. Igiene delle mani e distanziamento sociale sono scrupolosamente osservate, ma Singapore ha mantenuto le scuole aperte e ha permesso a cinema e bar di continuare a funzionare garatendo una distanza minima di un metro tra i clienti. Hong Kong ha consentito a bar e ristoranti di rimanere aperti con le stesse accortezze, ma ha chiuso le scuole e chiesto ai dipendenti pubblici di lavorare da casa. Soprattutto, entrambe le realtà hanno mostrato flessibilità nell'adeguare i provvedimenti alla velocità di diffusione dei contagi.
Soppressione e rilascio. Ciò non toglie che la COVID-19 sia un osso duro per tutti. A metà marzo, Hong Kong riportava 149 casi totali e Singapore 226. Al 15 aprile, Hong Kong era arrivata a 1.013 casi, Singapore a 3.252: non sono numeri neanche lontamente paragonabili a quelli europei, eppure entrambe le città hanno risposto con determinazione da subito, inasprendo le restrizioni. Hong Kong ha disposto la chiusura totale dei bar e limitato alla metà gli ingressi ai ristoranti, previo controllo della temperatura all'ingresso. Singapore ha chiuso le scuole e le attività non essenziali e chiesto agli abitanti di stare a casa. Ha funzionato: il 13 aprile, i nuovi casi a Hong Kong erano solo 5 (a fronte dei 65 del 27 marzo). A Singapore ci sono alcuni focolai noti, ma la diffusione comunitaria del virus sembra sotto controllo.
Sono in molti a credere che questa strategia di restrizioni "tira e molla" possa essere quella più appropriata per affrontare l'emergenza nel lungo periodo. Le misure meno intrusive, come incoraggiare le pratiche di igiene e il telelavoro, sono più facili da far accettare rispetto alla chiusura indefinita delle scuole, all'azzeramento di ogni attività ricreativa e alla chiusura di negozi e aziende. Tutto questo può però essere attuato soltanto insieme a una soppressione "chirurgica" dei nuovi focolai, con tamponi su ogni sospetto e tracciamento e isolamento dei contatti.