C'è chi pian piano ha iniziato a isolarsi dagli amici perché non si sente a suo agio in mezzo agli altri, chi non tollera più l'idea di essere interrogato o non riesce a presentarsi a scuola quando c'è il compito in classe. C'è chi fatica a uscire all'aperto, tanto da non essere più uscito dalla sua cameretta, dopo le restrizioni imposte dalla pandemia e la scuola a distanza. L'ansia oggi è una compagna costante della vita di tanti adolescenti, uno dei tratti più diffusi di quella che gli esperti hanno ribattezzato la "generazione Covid".
Ansia da prestazione. Eppure, tutto era iniziato già prima dell'arrivo del virus che ha cambiato il mondo. Secondo un rapporto dei Centers for Disease Control statunitensi, già nel 2019 il 14% dei ragazzini dai 12 ai 17 anni soffriva o aveva sofferto di un disturbo d'ansia; dati confermati anche da stime europee secondo cui da almeno un decennio la salute mentale dei giovanissimi si stava lenta mente deteriorando. I motivi del malessere erano già tanti, anche prima del virus: secondo un documento dell'American Academy of Pediatrics, nell'ultimo decennio vari fattori hanno contribuito all'aumento dell'ansia, fra cui le alte aspettative e la pressione per avere successo, assai maggiori rispetto al passato.
Un'indagine condotta ogni anno su un campione di matricole di college dall'Higher Education Research Institute dell'Università di Los Angeles, per esempio, ha rivelato che nel 2016 il 41% dei diciottenni ha ammesso di sentirsi sopraffatto dalle aspettative e dalla quantità di impegni; nel 1985 accadeva solo al 18%. A questo si aggiungono, secondo gli esperti statunitensi, la sensazione sempre più diffusa che il mondo sia un posto insicuro e minaccioso ma soprattutto l'uso dei social. I teenager sono esposti quotidianamente a smartphone e computer per una media di otto ore e mezzo, parecchie delle quali passate a sbirciare post e video di coetanei che ostentano vite sfavillanti, che li fanno sentire inadeguati e sbagliati. Così, già alle soglie del 2020, i ragazzi con l'ansia da prestazione, l'ansia da paura del mondo o quella di esporsi agli altri erano tantissimi.
Generazione Covid. Il Covid, poi, è stato un enorme detonatore di disagio: Nicole Racine, psicologa dell'Università di Calgary, in Canada, ha analizzato i dati di oltre 80.000 adolescenti durante la pandemia e osservato che oggi il 20% ha sintomi d'ansia, contro una percentuale che negli anni precedenti era in media di circa il 10%.
Una recente indagine di Laboratorio Adolescenza, su un campione di oltre 5.000 adolescenti italiani, conferma il quadro poco confortante. Stando ai risultati, la maggior parte dei ragazzi si sente spesso triste senza ragione, soffre di sbalzi d'umore e oltre il 40% ammette di sentirsi di frequente ansiosa o impaurita al punto da avere la sensazione di non riuscire a respirare (il femminile non è un caso: fra le ragazze i disagi psicologici sfiorano l'80%). Una vera e propria angoscia, insomma, ben diversa dall'ansia "buona" e fisiologica, quella che prende prima di un compito o un'interrogazione e agita, ma non impedisce di uscire di casa e misurarsi col mondo.
«L'ansia diventa un disturbo quando non consente di vivere normalmente, compromettendo le giornate», spiega Stefano Vicari, responsabile della Neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza dell'Irccs Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. «L'ansia esiste in tante forme, ma tutte hanno un impatto negativo sulla qualità di vita: c'è chi ha una fobia specifica e quindi, per esempio, non riesce a guidare o stare negli spazi aperti o affollati; c'è l'ansia di separazione di chi, specialmente i più piccoli, non vuole lasciare la famiglia; c'è la fobia sociale dei ragazzi che non escono più di casa ed evitano tutti i contatti col mondo. La pandemia ha aggiunto poi la paura di ammalarsi o far ammalare i familiari e tolto mezzi di difesa come il rapporto con gli amici. Gli adolescenti che hanno superato meglio i vari lockdown, senza sviluppare disturbi d'ansia, sono quelli che hanno potuto avere una frequenza scolastica regolare e mantenere in qualche forma i rapporti coi coetanei. Anche avere fratelli o sorelle è risultato protettivo, così come vivere in una casa con spazi esterni e in una famiglia in cui si è privilegiata la lettura e il dialogo rispetto all'uso di strumenti elettronici».
Che cosa (non) devono fare i genitori. Questo anche perché telefonini e social non aiutano, anzi. Come sottolinea Giuseppe Ducci, della Società Italiana di Psichiatria: «L'iperconnessione digitale porta a una disconnessione dalle emozioni: interagire con gli altri senza vederli e ascoltarli in presenza, mettendo solo like, non aiuta i processi di costruzione della personalità necessari in adolescenza, che invece richiedono un confronto diretto con i coetanei. Questo, associato alla mancanza della scuola – che è il contesto principale in cui gli adolescenti imparano ad autoregolare le proprie emozioni –, ha provocato un'impennata di disagio di cui l'ansia è solo il fenomeno più appariscente e, spesso, un sintomo sentinella che nasconde altri problemi (vedi riquadro al termine del servizio)».
Sono insomma le relazioni con gli amici e con i familiari che salvano i ragazzi dall'ansia, ma occorre coltivarle fin dall'infanzia perché possano davvero prevenire il disagio.
«La funzione dei genitori è fondamentale», precisa Vicari. «Adolescenti non ansiosi si "costruiscono" fin da piccoli, per esempio incoraggiando all'autonomia, non acconsentendo a qualsiasi richiesta perché imparino a gestire la frustrazione, aiutandoli a regolare le emozioni positive e negative per non farsene sopraffare, imparando ad ascoltarli e rispettarli ma senza voler essere loro amici: proprio durante l'adolescenza dovranno differenziarsi dai genitori per trovare se stessi, e avere accanto mamme e papà che si comportano da ragazzini non aiuta a trovare la propria strada e può far emergere un disagio emotivo e affettivo».
Se l'ansia è sintomo di qualcos'altro. Quali sono i segnali da non sottovalutare, per capire se l'ansia sta superando i livelli di guardia? Le alterazioni del sonno e dell'alimentazione: se i ragazzi dormono poco, troppo oppure senza orari, se mangiano male o quando capita è bene drizzare le antenne. Anche la stanchezza o, al contrario, l'irrequietezza possono essere segni a cui fare attenzione, così come la mancanza di concentrazione o esprimere troppo spesso preoccupazioni eccessive. Che fare però se un adolescente sembra precipitare nel gorgo dell'ansia? Sicuramente, mantenere la calma: uno studio del Centre for Adolescent Health del Murdoch Children's Research Institute di Parkville, in Australia, condotto su quasi 2mila ragazzi, ha dimostrato che, in metà dei cas,i i disturbi d'ansia non si ripresenteranno più dopo i 20 anni, soprattutto se i disagi sono durati meno di sei mesi.
«Spesso basta essere vigili, parlare con i figli, ascoltarli e osservarli, senza preoccuparsi di dare subito una risposta terapeutica: occorre tener presente, per esempio, che esistono temperamenti ansiosi, ovvero persone che per costituzione hanno una risposta d'ansia maggiore in situazioni che non impensieriscono altri», osserva Ducci. «Si può aspettare quindi, ma ovviamente se l'ansia compromette la vita quotidiana occorre chiedere una valutazione a uno psicologo, uno psichiatra o un neuropsichiatra: un passaggio necessario perché bisogna capire se l'ansia sia la punta di un iceberg, il sintomo di qualcos'altro. In questi casi dare gli ansiolitici per limitarla sarebbe un grosso errore, perciò serve il parere di un esperto».
Chiedere aiuto a uno specialista. Aggiunge Vicari: «Il primo consiglio è non vergognarsi di chiedere aiuto: un genitore non proverebbe imbarazzo ad avere un figlio con il diabete, né penserebbe di averne la colpa.
Nel caso del disagio mentale invece troppo spesso vince la paura di esporsi. Inoltre, mamme e papà tendono a ritenersi responsabili di quanto accade ai figli con un disturbo d'ansia. Invece non è così e per di più negli adolescenti la probabilità di guarire è alta, se si interviene nel modo e al momento giusti». Si tratta quasi sempre di terapie cognitivo-comportamentali sull'adolescente, che aiutino a riconoscere e disinnescare i pensieri e le situazioni ansiogene, associate a un supporto ai genitori, perché sappiano come comportarsi con i figli per aiutarli a stare meglio.
Non è il caso di pensare subito alle pillole insomma, tutt'altro: nel nostro Paese non c'è ancora la consuetudine di prescrivere con facilità psicofarmaci ai giovanissimi. Questo invece accade negli Stati Uniti, dove dal 2006 al 2015 le prescrizioni di questi medicinali sono cresciute dal 26 al 41% in bambini e ragazzi, esponendoli a vari effetti collaterali (anche perché moltissimi medicinali non sono neppure approvati per l'uso negli under 18). Dagli Stati Uniti importiamo spesso tendenze e comportamenti, c'è da sperare che non accada anche con l'ansiolitico facile agli adolescenti.
Articolo tratto da Focus 364 (disponible in digitale). Perché non ti abboni?