La bella stagione ci darà una mano nel contenere la pandemia da nuovo coronavirus? Non esiste ancora una risposta chiara, ma un'analisi preliminare del Massachusetts Institute of Technology suggerisce che la trasmissione del SARS-CoV-2 potrebbe procedere in modo meno efficiente, nei Paesi con il clima più mite.
In base ai risultati consultabili sul Social Science Research Network, il 90% dei contagi di COVID-19 sarebbe avvenuto finora in un intervallo specifico di temperatura compreso tra i 3 e i 17 °C, e a un livello di umidità assoluta (densità di vapore acqueo in una massa d'aria) tra i 4 e i 9 g/metro cubo. Le aree geografiche che tra gennaio e marzo hanno avuto temperature medie superiori ai 18 °C contano oggi, complessivamente, meno del 6% dei casi totali.
Amante del freddo? La pandemia da COVID-19 non conosce confini e ci sono evidenze di trasmissione locale sostenuta anche in Paesi oggi nel pieno dell'estate. Tuttavia, per gli scienziati del MIT, nelle aree interessate da temperature ancora invernali, la trasmissione procede a ritmo più sostenuto. Negli USA, gli Stati meridionali come Florida, Arizona e Texas stanno assistendo a un'avanzata di COVID-19 più lenta rispetto agli Stati più settentrionali di Washington, New York e Colorado.
Secondo il New York Times, le osservazioni sono in linea con altri due studi diffusi in pre-pubblicazione. In uno di questi, ricercatori di Spagna e Finlandia hanno notato che il nuovo coronavirus trova una nicchia ecologica ideale tra i 2 e i 10 °C; la seconda analisi, condotta in Cina prima dell'entrata in vigore delle aggressive misure di contenimento, evidenzia come le città con le temperature e i livelli di umidità più elevati fossero interessate da una più lenta trasmissione virale.
Che cosa vuol dire. Le alte temperature (o l'elevata umidità: l'analisi del MIT non è riuscita a discriminare chiaramente che cosa "pesi" di più) potrebbero rendere più difficile per il nuovo coronavirus resistere a lungo sulle superfici, accorciando i suoi tempi di sopravvivenza. I coronavirus, così come i virus dell'influenza, perdono infettività quando si danneggia la loro integrità strutturale: per far luce sui talloni d'Achille del SARS-CoV-2, un team dell'Università dello Utah sta studiando la risposta della sua corazza protettiva ad alterazioni di calore e umidità, usando versioni sintetiche del suo "guscio", che non contengono genoma virale.
Anche se la correlazione con il clima si rivelasse fondata, si tratterebbe solamente di un vantaggio in termini di tempo, e non di un'immunità.
Non solo perché le stagioni cambiano, ma anche perché persino virus stagionali come quelli dell'influenza continuano a diffondersi - in misura contenuta - anche in estate, in attesa che tornino le condizioni ideali per propagarsi a dovere. Altri virus, come quelli di polio e tubercolosi, prediligono i climi caldi, e altri ancora si fanno andare bene tutto: conosciamo troppo poco il SARS-CoV-2 per fidarci delle sue preferenze.