Oltre 31.500 casi e 638 vittime è il bilancio ufficiale, al 7 febbraio 2020 (qui l'aggiornamento in tempo reale), dell'epidemia da coronavirus (a proposito: che differenza c'è tra epidemia e pandemia?). In Italia, restano gravi le condizioni della coppia cinese ricoverata allo Spallanzani di Roma, mentre si registra il primo caso fra i nostri connazionali. Un giovane che faceva parte del gruppo rientrato da Wuhan è risultato positivo ai test ed è ora ricoverato nell'ospedale romano. Quali sono le opzioni terapeutiche disponibili per questi pazienti?
L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) precisa che attualmente non esistono né medicine né vaccini specifici per il coronavirus. Tuttavia in condizioni di emergenza è possibile somministrare ai malati molecole sperimentali, non ancora in commercio, oppure farmaci normalmente usati per altre malattie, che potrebbero rivelarsi efficaci. Era accaduto durante l'epidemia di Ebola del 2014-2016, e viene fatto anche ora.
Combinazione di antivirali. Allo Spallanzani si sta utilizzando una combinazione di tre antivirali: il lopinavir, il ritonavir e il remdesivir. L'associazione lopinavir/ritonavir, formulata originariamente per l'HIV (il virus dell'Aids), ha già dato risultati incoraggianti su alcuni pazienti all'estero; il remdesivir, invece, è un farmaco sperimentale sviluppato contro Ebola, che ha mostrato una certa attività anche su altri virus, fra cui quello della Mers (sindrome respiratoria mediorientale), che ha caratteristiche simili al nuovo coronavirus. Un articolo pubblicato su New England Journal of Medicine riporta il caso di un paziente, trattato nelle scorse settimane con questo farmaco negli Stati Uniti, che è guarito.
Ma si tentano anche altre strade. Il Wuhan Institute of Virology ha annunciato di aver ottenuto un buon risultato con una combinazione di remdesivir e clorochina (un farmaco antimalarico), ma per ora soltanto su cellule coltivate in coltura. Nei giorni scorsi, sempre in Cina, si è avanzata l'ipotesi di utilizzate un antivirale usato contro l'influenza e il darunavir, messo a punto per l'Hiv.
Un'altra possibilità è quella di somministrare ai malati il plasma di chi è guarito. Questo dovrebbe infatti contenere anticorpi contro l'agente infettivo, che potrebbero aiutare chi sta ancora combattendo contro la malattia.
A scanso di equivoci, va ribadito che lo sviluppo di farmaci e terapie è un processo che dura molti anni e non può essere compresso in poche settimane. Nelle emergenze la medicina fa del suo meglio con le armi che possiede, ma i risultati positivi ottenuti su pochi pazienti (o su casi singoli) non sono certo sufficienti a dire che una cura è quella giusta.
Peraltro, nelle scorse settimane, diverse organizzazioni hanno stanziato finanziamenti ingenti per la ricerca di preparati che potrebbero tornare utili fra qualche mese, se il coronavirus sarà ancora in circolazione, o in futuro, se dovesse ripresentarsi.
Finanziamenti. La Fondazione Bill & Melinda Gates, per esempio ha messo sul tavolo 100 milioni di dollari per fronteggiare la nuova emergenza. Di questi, 20 milioni saranno destinati alla ricerca di terapie, altri 20 serviranno a rafforzare i sistemi sanitari nell'Africa sub Sahariana e nel sudest asiatico (così da migliorare le loro possibilità di rispondere al coronavirus), e ben 60 milioni saranno destinati a progetti di ricerca per un vaccino.
Parallelamente, Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (CEPI), nata nel 2016 proprio per accelerare lo sviluppo dei vaccini, ha aperto un bando per ricercatori e aziende e ha già destinato 12,5 milioni di dollari a tre progetti. Uno di questi, portato avanti dai National Institutes of Health statunitensi, assieme all'azienda Moderna, si propone di arrivare a sperimentare un vaccino sull'uomo già fra tre mesi.